Era il 1986 quando don Giussani si mise sulle tracce di Cristo con un gruppo di amici pellegrini. Anche allora la situazione in Terra Santa non era semplice, eppure il suo sguardo era fissato su altro.
Meglio, guardava quei luoghi da un altro punto di vista. A Betlemme, dopo aver fatto leggere il Prologo del Vangelo di Giovanni «In principio era il Verbo . E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» , Giussani commenta: «È il metodo che in fondo Dio ha sempre seguito in tutte le circostanze in cui ha voluto dimostrare che era la sua potenza che dava consistenza alla realtà delle cose. Il Signore usa questo metodo per dimostrare che la potenza non è nostra, non sta nella nostra intelligenza, non è una nostra forza, ma è Suo Potere».
Questo sentimento riempiva il suo cuore calpestando la terra di Gesù: «Tutto è avvenuto senza alcun clamore umano. Tutto il popolo ebraico e il grande Giovanni Battista aspettavano il Messia come qualcosa di clamoroso. Come qualcosa di eccezionale che avrebbe realizzato la giustizia nel mondo». E invece è accaduto come «un seme vivo che prorompe nella terra a dispetto di tutti i passaggi delle stagioni. E dapprima sembra una cosa di cui si può benissimo non tenere conto. Così come hanno fatto tutti gli annalisti del I secolo, compresi gli scrittori romani che, come Tacito o Svetonio, riferiscono di quella setta il cui fondatore Cristo fu suppliziato sotto l'impero di Tiberio. Questo seme prorompe dapprima in modo apparentemente insensibile, ma poi, dopo duemila anni, ne siamo investiti umanamente, ragionevolmente, affettivamente».
Anche oggi, in mezzo alla guerra e al male che gli uomini si procurano con le loro stesse mani, Dio non cambia metodo. E anche oggi ci troviamo nella situazione dei discepoli sulla barca sballottata dalle onde, tutti presi dalla paura. «Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non t'importa che siamo perduti?. Si destò, minacciò il vento e disse al mare: Taci, calmati!. Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,37-40). Sono parole dette anche a noi oggi, quando ci lasciamo assalire dal panico pensando di essere alla fine. Ma il Signore è presente ed è Lui che rende sicura la nostra navigazione nel mare in tempesta. Sempre e solo Lui ha la forza di placare le acque. E questo ci riempie di stupore. Lo ricorda don Giussani proprio nella tappa al Lago di Tiberiade: «Quegli uomini erano con lui da mesi, da anni. Conoscevano suo padre e sua madre, sapevano dove abitava eppure di fronte a lui arrivano a chiedersi: Ma chi è Costui? Ma tu chi sei?. Quell'Uomo aveva una tale potenza, così sproporzionata all'immaginazione dell'uomo, che sono stati costretti a porsi quelle domande».
Ogni giorno siamo investiti da notizie sempre più tragiche e da analisi sempre più disperanti; sembra non ci sia via d'uscita, che la pace sia impossibile. E anche noi cristiani possiamo cedere a questo clima e perdere la speranza. Anche noi possiamo diventare come i discepoli di Emmaus, con i quali don Giussani invita a immedesimarci: «Noi camminiamo come cristiani tristi. La tristezza non viene dalla prova e dal dolore, la tristezza viene sempre dall'assenza di significato o dalla fragilità della ragione. La tristezza è sempre un interrogativo sul vale la pena, vale proprio la pena?, sarà proprio così?. In fondo la tristezza nasce da un'ultima scetticità. Ma il Signore che comprende la nostra situazione, la nostra umanità, non ci abbandona in questa tristezza. Il Signore, anche non riconosciuto, ci accompagna nei nostri passi sulla via».
Quando ci lasciamo sopraffare dalla tristezza e dalla disperazione, trascuriamo un particolare essenziale, che cioè tutta la nostra speranza è in un uomo che è salito sulla croce per noi ed è risorto per liberarci dal male. La Chiesa è nata sotto la croce, dove il Figlio di Dio, coronato di spine, è diventato il re del mondo. Il suo cuore trafitto, per la potenza di Dio, ha trasformato un fallimento in vittoria. Lungo la Via Dolorosa don Giussani pensa: «La vita di ognuno ha un destino di Via Crucis: Cristo. Tutti a quel tempo aspettavano il Redentore. Ma il Redentore è diverso da ciò che ci aspettiamo.
E questa diversità, che dovrebbe farci piegare il cuore di fronte al Mistero, diventa la ragione di affermazione di noi stessi di fronte a Dio. La Via Crucis è in questa ribellione o in questo tradimento , nell'adesione alla mentalità comune. Così Cristo deve passare attraverso la situazione che in noi è generata dalla mentalità comune a cui aderiamo».
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