Donna uccisa sulla panchina, l’assassino resta senza nome

Il suo telefonino cellulare. E una valanga di numeri telefonici. La chiave dell’inchiesta sull’assassinio di Pasqualina «Lina» Labarbuta - la 37enne pugliese uccisa il 6 maggio scorso al Gallaratese con una coltellata al cuore mentre sonnecchiava sotto il sole, coricata su una panchina dei giardinetti di via Mario Borsa, durante la pausa pranzo - sta tutta lì. Nel lunghissimo elenco di numeri di conoscenze (soprattutto maschili) della donna, madre di tre figli (una bimba di 8 anni e due maschietti di 11 e 13) separata da tre anni dal marito bresciano e residente con la madre in via Sofia Bisi Albini (zona piazzale Lagosta). Gli investigatori della sezione omicidi della squadra mobile da mesi ormai sono alla ricerca dell’uomo, ritratto in un identikit ricavato il giorno dopo il delitto, che avrebbe atteso il momento della siesta di Lina - sostituta di una portinaia in congedo nello stabile di Alex Visconti 10-12 - per colpirla a morte con una pattada sarda e quindi fuggire. Proprio per questo tutti gli uomini elencati nel cellulare della signora Labarbuta sarebbero state convocati in questura, ma nessuno di loro corrisponde all’identikit. Compreso l’ex fidanzato, con il quale Lina si era lasciata un mese prima del delitto. Insomma: l’indagine è ferma, non va più in nessuna direzione da tanto tempo. Al punto che il pm Frank Di Maio, che ha seguito l’inchiesta sin dal primo giorno, starebbe per chiedere l’archiviazione.
Escluso ormai, tra i moventi del delitto, la tentata rapina finita male, l’ipotetica vendetta di un ex fidanzato abbandonato, accantonato anche l’improbabile raptus di uno sconosciuto e accertato che la vita pubblica di Pasqualina era senza ombre, si scava nel suo privato. Un ambito molto delicato che riguarda le sue conoscenze. E anche il legame con i famigliari.
«Il suo cellulare risulta pieno di numeri di ogni genere - racconta un investigatore che chiede di restare rigorosamente anonimo -. Non è un fatto comune che una donna che viveva di lavori saltuari conoscesse così tante persone, gente di ogni tipo e ceto sociale. O forse sì. Bisognerebbe sapere qualcosa di più di quello che Lina faceva nel suo tempo libero».
Secondo la testimonianza del giardiniere dello stabile di via Alex Visconti, Mohamed Baroumi, 18 anni, impiegato in un’impresa di servizi, Lina Labarbuta si sarebbe allontanata dalla portineria intorno alle 13 di sabato 6 giugno (suo primo giorno di lavoro come sostituta della portinaia del palazzo, la signora Cinzia che, però, aveva aiutato già in passato) per mangiarsi un panino ai giardinetti. È lì che, dopo pranzo, si era allungata sulla panchina coricandosi, per chiudere gli occhi e sonnecchiare un po’ sotto il sole caldo. Ed è stato a quel punto che il suo assassino l’ha raggiunta, l’ha accoltellata al cuore, ha gettato via il coltello lì sul posto ed è scappato. La poveretta è morta sul colpo.

«Siamo quasi certi che, a uccidere Pasqualina Labarbuta, sia stato qualcuno che, per un motivo o per l’altro, la conosceva e l’aveva frequentata - conclude l’investigatore -. Tuttavia risulta molto complesso penetrare nella ramificata rete di conoscenze di questa donna. Prima che l’identità del suo assassino, resta lei, la morta, il vero mistero di tutta la vicenda».

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