Donne contro donne nelle storie d’orrore della guerra civile

Partigiane o soldatesse un libro ricorda il loro sacrificio fino al martirio

Donne in divisa, donne alla macchia. Stuprate, umiliate, ammazzate. Marco Pirina scosta il velo di piombo e sangue per raccontarle una dopo l'altra, inesorabilmente, nel suo «1943-1945 Donne nella Guerra Civile Italiana tra Gladio e Stella Rossa». Presidente del Centro Studi e ricerche storiche Silentes Loquimur di Pordenone (www.silentesloquimur.it) e oltre venti libri-documento su quegli anni, Pirina viaggia sulla memoria condivisa e punta alla riconciliazione. Emblematiche in copertina le immagini affiancate di Fede Arnaud, comandante ausiliari X Mas, e Irma Bandiera, partigiana, medaglia d'oro. Nero su bianco vinte e vincitrici. Prima di tutto donne che hanno rifiutato l'attendismo e sono uscite allo scoperto, fossero Ausiliarie della Repubblica Sociale o staffette partigiane. Elenchi parziali, dimezzati, cancellati, che non fa comodo a nessuno leggere scempio e strazio. Pirina lo fa: «In questo libro non potremo trascrivere tutti gli orrori vissuti dalle donne: racconteremo alcune delle migliaia di testimonianze custodite gelosamente negli Archivi del nostro Istituto, a disposizione di chiunque voglia ricordare le scomparse dalla Storia». Un nome via l'altro, una storia via l'altra e comuni denominatori raccapriccianti. Parte dalle ausiliarie della Rsi, pubblica un elenco delle «cadute» che ha dietro anni di ricerche, testimonianze, documenti sulla Guerra Civile. Un numero provvisorio e parziale: 403. Poi le sopravvissute: «Nei loro occhi ho visto splendere un orgoglio mai sopito di aver percorso una scelta di vita e di fronte, di cui non si non mai pentite, travolte dall'odio dei vincitori ma non vinte» scrive Pirina. Le foto, tantissime, a coglierne una bellezza antica stretta nella divisa, la copertina della Domenica del Corriere a schizzare l'Ausiliaria dell'Esercito Repubblicano Angelina Milazzo che fa scudo col suo corpo ad una donna incinta; Margherita Audisio che scrive l'ultima lettera alla madre: «Io vive per la Patria e per la Patria saprò morire». La commozione e le budella contorte vengono dopo: Pirina depone una storia vicina all'altra: dal 26 aprile 1945 gli orrori di Villa del Vesco, l'eccidio di Cuneo in cui furono soppresse 11 donne,la testimonianza di Don Riva su Anna Forni «catturata e percossa a sangue, portata in una macelleria e appesa ad un gancio». Ancora foto a testimoniare l'umiliazione: donne trascinate nude per strada, rasate, accusate d'essere collaborazioniste. Un orrore che replica immutato dall'altra parte, quando sono le partigiane a stramazzare sotto una violenza inaudita. «Difficile quantificare l'adesione delle donne al movimento partigiano: - scrive Pirina - nei documenti partigiani sono conteggiate solo le donne combattenti». Ma ci sono le altre, quelle che corsero a raccogliere i biglietti che i militari italiani deportati in Germania lanciavano dai treni, e passavano loro di nascosto acqua e pane. Una maggioranza non combattente, ma organizzata per far giungere viveri, vestiti e notizie ai loro uomini. Alla fine della guerra «anche le partigiane si resero conto di essere delle vinte - commenta l'autore - furono escluse dalla direzione del Paese e rimandate ai fornelli». Poi le civili uccisi da formazioni partigiane, «accusate genericamente d'essere spie, pagarono con la vita la colpa d'essere legate a militari della Rsi o aderenti al Partito Fascista». Seviziate, straziate, gettate in fosse comuni, «giacciono ancora oggi in luoghi conosciuti solo dai loro assassini». In chiusura il tragico piano sequenza delle donne «scomparse dalla Storia»: con un colpo alla nuca, la gonna sollevata, la camicia strappata.

Un libro a cannocchiale rovesciato: con l'urgenza piatta di fissare l'occhio e tenerlo puntato fino in fondo.
Marco Pirina «1943 - 1945 Donne nella Guerra Civile Italiana tra Gladio e Stella Rossa», edito da Centro Studi Silentes Loquimur, 335 pagine, 26 euro.

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