Irene Liconte
È la notte del 24 novembre 1560. Andrea Doria veglia in attesa di notizie del nipote Gianandrea, coinvolto nella disfatta della flotta spagnola presso le coste tunisine da parte degli Ottomani. Su questo spunto storico si innesta «Andrea Doria, ritratto di principe con gatto» di Elena Bono; e quando la voce dellAmmiraglio si spegne, è la volta del drammatico racconto del suo nemico giurato, il conte di Lavagna Gianluigi Fieschi, protagonista di «Gianluigi e la Gloria» di Vico Faggi, interpretato da Andrea Benfante.
Sono i due monologhi che si succedono nello spettacolo «Doria e Fieschi a confronto», in scena oggi e il 29 e 30 agosto da Lunaria Teatro in piazza S. Matteo; precede la messinscena una visita guidata ai luoghi storici dei Doria, con inizio alle ore 18.30 (per informazioni tel. allo 010/2543450).
Acerrimi nemici, ma accomunati dallambizione e dallaspirazione al potere, i due uomini sono rievocati nel momento della morte. Il trapasso di Andrea (Maurizio Gueli), avviene nella quiete del suo letto, ma non per questo è meno tumultuoso: chiamato dalla madre morta, la pia Scià Caracosa, «il banchiere dellimperatore Carlo V» soppesa le azioni della propria vita; e sul piatto nero della bilancia gravano alleanze tradite, imprese ai limiti della pirateria. Il curioso «Ritratto di Andrea Doria con il gatto», opera di anonimo custodita nel Palazzo del Principe, ha colpito la fantasia di Elena Bono: e così muto interlocutore di Andrea è il gatto Dragut, bizzarramente battezzato con il nome del pirata che Andrea liberò dalle carceri genovesi in cambio di un cospicuo riscatto. E nel nero, ambiguo felino, la cui inquietante presenza vive nella gestualità di un mimo, si materializza non solo luniverso piratesco di Andrea, ma anche la lugubre incarnazione del demonio e il simbolo stesso della casata dei Fieschi, appunto un gatto.
E «Gatti! Gatti!» invocava vanamente Gerolamo Fieschi ai compagni in fuga dopo la morte di Gianluigi, promotore della famosa congiura. Appena ventiduenne, Gianluigi Fieschi cercò infatti di rovesciare la supremazia dei Doria: ma fu davvero un «Bruto» dei suoi tempi, un tirannicida che lottava per la libertà di Genova? O fu invece mosso dalla sete di potere e gloria? La risposta si inabissò con lui la notte del 2 gennaio 1547, quando cadde dalla passerella gettata allarrembaggio di una galea dei Doria e fu inesorabilmente trascinato sui fondali del porto dal pesi dellarmatura, decretando il fallimento della sommossa. Ripescato dopo giorni nelle acque della Darsena, Andrea Doria sancì che il suo corpo fosse abbandonato al mare, «perché avesse la tomba che si era scelto».
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