E adesso, serietà

L’anno appena cominciato inizia con il nuovo confronto previsto per domani tra governo e sindacati sulla questione salariale. Una questione vera affrontata però con almeno sei mesi di ritardo. A cosa pensavano, ad esempio, i sindacati quando hanno concertato con il governo il provvedimento sul «welfare» all’interno del quale c’erano la riforma delle pensioni con il famoso scalone e quella degli ammortizzatori sociali oltre che misure che avrebbero dovuto favorire lo sviluppo economico del Paese?
A quell’epoca la questione salariale era già evidentissima. Si preferì allora scegliere la strada della conservazione sostanziale delle pensioni di anzianità piuttosto che affrontare la questione dei redditi da lavoro dipendente e da pensioni con tutto il loro carico fiscale. Fu la scelta per pochi a fronte di un interesse più generale. Analogo errore, però, lo fece la Confindustria di Montezemolo che incassò per quel suo assenso la riduzione di cinque punti del cuneo fiscale che, per come fu fatta, si trasformò in un aumento del reddito di impresa piuttosto che in una riduzione strutturale del costo del lavoro.
La stessa riduzione di cinque punti dell’Ires con il contestuale aumento della base imponibile costringerà la stragrande maggioranza delle aziende a pagare quest’anno più tasse. La responsabilità del governo ed in particolare del ministro dell’Economia, naturalmente, è fuori discussione. Padoa-Schioppa, infatti, è stato sordo e cieco (ma lo è o lo fa?) a quanti, e noi fra questi, gli spiegavano che le sue stesse previsioni davano per il 2008 una caduta della crescita che ad oggi si situa intorno all’1 per cento. E con quel tasso di crescita nulla era possibile per contrastare il dilagare delle nuove e vecchie povertà e favorire il risanamento strutturale dei conti pubblici. C’era bisogno, al contrario, che con la legge finanziaria si innescassero da un lato politiche in grado di fronteggiare le nuove turbolenze internazionali, e dall’altro misure capaci di sciogliere quei nodi strutturali dell’economia italiana che da oltre dieci anni cresce meno di tutti in Europa.
Politiche di questo tipo non significano aumento della spesa pubblica corrente quanto piuttosto politiche prevalentemente fiscali su famiglie e imprese capaci di rilanciare consumi e investimenti privati, unici veri volani insieme agli investimenti pubblici in infrastrutture ed alle esportazioni in grado di compensare l’iniziale riduzione di entrate con più crescita e quindi con successivo maggiore gettito tributario.
E non aiutano a ritrovare la retta via quelle ricette semplicistiche come quella di Lamberto Dini che parla di ridurre subito del 5 per cento i dipendenti pubblici mandandoli in pensione anticipatamente quasi che la spesa pensionistica non gravasse sui conti pubblici.
La spesa corrente al netto degli interessi va certamente ridotta (quella in conto capitale assolutamente no) ma il rapporto deficit-Pil che rappresenta il disavanzo pubblico annuale è fatto da un numeratore (il deficit) e da un denominatore (il Pil). Pensare solo al primo e poco al secondo è il più grande errore di politica economica.
Ecco perché il nuovo confronto governo-parti sociali deve affrontare innanzitutto il tema della crescita iniziando dalla questione salariale e dalla produttività del lavoro per evitare che quest’ultima per recuperare tassi di incremento annuali indispensabili per la competitività delle aziende sui mercati internazionali si scarichi proprio sui salari e principalmente su quelli di ingresso.
Ma tutto questo non sarà sufficiente se non verrà accompagnato da misure per favorire gli investimenti privati colpiti da alcune norme della legge finanziaria e dalla restituzione ai contribuenti di quel miliardo e passa di euro che lo Stato ha guadagnato in più con l’aumento del prezzo al barile del petrolio.

Una restituzione, quest’ultima, obbligata per evitare che lo Stato italiano diventi il vero socio in affari dei Paesi dell’Opec con buona pace del ministro Bersani che continua a ripetere che il trattamento fiscale italiano sulla benzina è tra i più bassi d’Europa. È giunto il tempo di riscoprire una severità di analisi e una serietà di comportamenti.
Geronimo

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