E Caruso ora si inventa le scuse di coccodrillo

Definì Marco Biagi, ucciso dalle Br, un "assassino". Nella causa di diffamazione rischia di pagare 600mila euro. Ora che la Camera gli ha negato l’immunità parlamentare, chiede perdono: "Farò volontariato per rimediare"

E Caruso ora si inventa le scuse di coccodrillo

Lo avevano già bocciato agli ultimi scrutini delle Politiche. Un voto alla condotta ben prima dell’era Gelmini. Perché Francesco Caruso, 34 anni e 29 procedimenti penali in corso, null’altro è che un bulletto cresciuto. Arrogante e sedizioso se deve farsi bello coi compagni. Disarmato e reverenziale se c’è aria di punizione. O di risarcimento, come i 600mila euro chiesti dalla famiglia Biagi nella causa di diffamazione.
Il leader dei no global, il fu battagliero «Striker» che okkupava tutto, dalle basi Nato alle discariche di Acerra, dai Cpt alla barca Luna Rossa, ormai è solo Ciccio. Quello buono, che condivide il nome col nipote molliccio di Nonna Papera. Ciccio che diceva «papà mi mollava due sganassoni se andavo in manifestazione e io mica ci andavo!». Ciccio che ora chiede scusa alla vedova e ai figli di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Br, per aver definito «assassini» lui e Tiziano Treu.
Ravvedimento tardivo, ma almeno non ricomincia con la solfa della «persecuzione» e del «linciaggio fascista». Peccato che però si penta a orologeria. Perché nonostante le sue previsioni («l’immunità? Temo che da Fassino a Fini voterebbero tutti per concedermela»), la Camera due settimane fa ha deciso di negare l’insindacabilità delle sue dichiarazioni. Il bulletto non ha più la giustificazione firmata da mamma, papà e Parlamento. E ora rischia bacchettate sulle dita e un esborso salato. La strizza val bene una scusa.
Ecco allora l’ex deputato di Rifondazione dichiarare al Corriere di essere «pronto a fare il volontario ovunque la famiglia indichi, per scusarmi e non monetizzare il dolore che ho provocato». Lodevole. Un paio di mesi a portare la spesa alle anziane. La famiglia Biagi si è detta disponibile, perché dei soldi di Caruso Pascoski di padre beneventano e famiglia latifondista non ha bisogno. È questione di principio. Quello per il quale se si piantano chiodi in un muro, non basta poi levarli per non lasciare i buchi.
Di chiodi Caruso ne ha piantati parecchi, almeno quanti germogli di marijuana nelle fioriere di Montecitorio. Ma quando gli segnalavano che aveva detto l’ennesima boiata, nascondeva la mano. L’ha nascosta tante di quelle volte che non si ricorderà manco più dove l’ha messa. Caso Raciti, lui dichiara: «La morte di un poliziotto vale quella di un ultrà». Lo vogliono linciare tutti e Ciccio ritratta: «Sono stato travisato». Manifestazione a Napoli: «Verremo armati», splafona. Scoppia la polemica e lui arrossisce: «Era una provocazione». Di ottimo gusto, come il bossolo inviato all’allora ministro dell’Interno Scajola per «farlo riflettere sulla potenza distruttiva di un proiettile». Perché chi non riflette, ha la tendenza a pretendere che lo facciano gli altri.
Durante la sua - fortunatamente breve - carriera da parlamentare impresentabile, Caruso si svegliava ogni mattina con una cialtronata nuova in canna. I picchetti anti Tav, la comprensione per i kamikaze palestinesi «disperati», l’ideona di «confiscare la barca a vela a D’Alema e i 14mila miliardi di Berlusconi per garantire un sostegno ai disoccupati». Dal motto del complesso 99 Posse, «sabotare e sovvertire», era passato a «straparlare e sragionare». Si sentiva protetto, Caruso, come in un videogame: se sbagli ricominci. Pure Bertinotti lo aveva scaricato dicendo «non sono il suo angelo custode», ma Ciccio si sentiva onnipotente. Perennemente impreparato (memorabili le sue interviste, in cui ammetteva di non sapere nulla e di non aver letto i giornali, salvo poi avere un’opinione - rigorosamente antagonista - su tutto), pensava solo ad alzare i toni. Voleva sciogliere i Ros, rifiutava il minuto di silenzio per i morti di Nassirya, ammoniva il governo Berlusconi di fare pure le riforme che volesse, «basta che non si lamentino se poi li gambizzano».
Poi, la trombatura alle elezioni, il ritiro nel parco del Gran Sasso a contare i lupi, le gitarelle con altri 300 soci al G8 ambientale in Sicilia per dire: «Siamo pochi perché Siracusa è lontana». Caruso senza l’adorata cassa di risonanza di chi sorrideva quando distribuiva preservativi e cartine alla Camera, Caruso che dice «Berlusconi usa i terremotati come scudi umani» e «gli operai italiani dovranno imitare i sequestri dei manager francesi» e nessuno se lo fila. È finito il concerto, hanno spento le luci e lo scudo dietro al quale poteva scagliare tutte le sue balle spaziali.

Quelle di cui non si è mai vergognato ma di cui ora comincia a sentire lo sgradito aroma. Perché non tutta la spazzatura si smaltisce senza produrre scorie. E non tutti i deliri che strizzano l’occhio a pallottole e terrore si lavano via con un centinaio di ore di servizi sociali.

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