E a due anni dal "tifone" Vaia la ferita resta aperta: 14 milioni i tronchi abbattuti

I due anni sono passati pochi giorni fa: quel lunedì sera del 29 ottobre 2018 nessuno l'ha scordato, visto che è stato il ground zero per i boschi del Triveneto

E a due anni dal "tifone" Vaia la ferita resta aperta: 14 milioni i tronchi abbattuti

I due anni sono passati pochi giorni fa: quel lunedì sera del 29 ottobre 2018 nessuno l'ha scordato, visto che è stato il ground zero per i boschi del Triveneto. Vaia colpì alle sette e all'improvviso: un caldo anomalo, la pioggia battente ed un sibilo che arrivò da sud. Uno scirocco funesto, un vento malvagio e mirato: fu come una bomba per i pendii volti ad oriente, travolti ad una velocità fra i 197 e i 217 km orari. Con la luce tutto fu chiaro: niente sarebbe stato più lo stesso, perché ad est niente esisteva più. Sul lato opposto, invece, i dirimpettai se ne stavano ritti, giusto un poco più spettinati.

Li chiamano schianti: se ne contano ancora oggi, al ribasso, oltre 14 milioni. «Un numero così grande che non si può nemmeno pensare». Ci prova il libro di Cotugno: «È come riempire 530mila camion di alberi con 15 metri cubi di legname per ciascuno». In alcune valli si tratta della produzione forestale di sette anni, altrove si arriva al taglio programmato di 20-30 anni. Da queste parti, provano a consolarsi: dicono che il bosco, in fondo, non muore ma cambia. Fu così anche 100 anni fa, quando la guerra si portò via i boschi, rasi al suolo per l'industria bellica. Già allora si insinuò, però, l'errore che poi ha galoppato sul cambiamento climatico, creando un mix esplosivo. Nel dopoguerra molti di questi boschi furono ripiantumati: stessa specie, stessa età, stessa fragilità. Boom: con Vaia, tutto cancellato di nuovo.

Oggi fra i 550 cantieri aperti per la rimozione, gli alberi sono ormai grigi e secchi. Solo i pezzi più pregiati e i tronchi più facilmente accessibili sono stati portati via: legname, edilizia. La filiera ha provato a velocizzarsi, andando, però, incontro alla prima implacabile legge dell'economia: la necessità e il surplus che fanno schiantare anche il prezzo. Prima giù a 10 euro al metro cubo, ora si risale verso i 50-60. Gli esboscatori su larga scala arrivarono, utilissimi ed affamati, da Austria e Slovenia; container di legname sono partiti da Marghera anche per la Cina. Ora, per quel che resta, scorre non il soldo, ma la clessidra: qualcuno sostiene che serviranno altri 3 anni per pulire tutto, ma il legno a breve sarà solo biomassa, fiaccato dal tempo e dagli ungulati che - spariti un attimo prima di Vaia - sono tornati. A questo banchetto funebre si è aggiunto il bostrico, un parassita che divora ed indebolisce la corteccia dove depone le sue larve. Sgranocchiati e corrosi, questi tronchi non saranno più riutilizzabili nemmeno come imballaggio o per il camino. Il cippato troppo secco, poi, non brucia: questione di pellet, ma anche di emozione. Le reali conseguenze economiche di Vaia sono ancora incalcolabili e imprevedibile è anche il futuro, perché la storia non aiuta e si ripete.

Ora, accanto all'abete rosso, si proverà a reinserire anche faggio, larice, abete bianco e sorbo, ma la domanda che resta più spesso senza risposta è quante altre tempeste Vaia ci saranno e da dove soffierà stavolta il vento.

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