Venti giorni per cambiare il mondo. Anzi l’Europa. Nel calcio riesce più facile che in politica. Eravamo partiti con la Spagna favorita e designata maramalda e l’Italia molto italietta e con il fardello di una stagione da salvare per il calcio e il campionato suo. Non sapevamo cosa ne sarebbe stato di Mario Balotelli, così come gli spagnoli si interrogavano su Fernando Torres, niño dall’oro un po’ svalutato. Ci domandavamo se Buffon sarebbe tornato numero uno fra i portieri del mondo e quanto Casillas meritasse di essere considerato il migliore.
Venti giorni sono bastati per risolvere i rebus (Buffon si è ripreso il comando, almeno a pari merito; Balotelli è d’oro, Torres di latta; la Spagna non si è smentita, l’Italia ha smentito tutti), novanta minuti basteranno per raccontarci quale sarà il conto finale del calcio di Italia e Spagna. Certo, il calcio inteso nella sua globalità. Qui non c’è solo in palio un titolo che si gusteranno una squadra e una nazione, ma verrà deciso dove siamo arrivati: noi e loro. Un titolo può cambiar faccia a un movimento che quest’anno ha preso solo schiaffi: sui campi europei e dai investigatori giudiziari. La Spagna, invece, rischia la conclusione di un ciclo, un ciclo di successi perché gli uomini della sua nazionale sembrano più stanchi (mentalmente e fisicamente) che bolliti calcisticamente. Ma se la Spagna non vincesse il titolo che vale un trittico (europeo-mondiale-europeo) a nessun altro concesso, ne uscirebbe ridimensionata una stagione nella quale il Real Madrid ha dato il cambio al Barcellona nella conquista dello scudetto, Atletico Madrid e Atletico Bilbao si sono giocate la finale di Europa League vinta dalla gente di Madrid, ma la Champions è stato affare tra inglesi e tedeschi che hanno fatto fuori le due spagnole. E, guarda caso, proprio inglesi e tedeschi sono stati invece eliminati dall’Italietta nostra. Se esistesse una proprietà transitiva nel calcio, il risultato di questa finale sarebbe già scritto: vince l’Italia. Se vogliamo dare ascolto alla storia scritta dalle stelle, par quasi naturale che il ciclo cominciato con un successo decisivo contro l’Italia, nei quarti 2008, ai rigori, possa arenarsi con una sconfitta decisiva: sempre contro l’Italia e sempre ai rigori.
Ma il calcio non è scienza e nemmeno sport legato alle certezze. Piuttosto vive di incertezze. E da qui spunta il bello di questa finale. Spagna un po’ meno forte di quanto la conoscevamo, Italia un po’ più forte di quanto prevedevamo (il noi è riferito all’intero mondo pallonaro, giornalisti compresi si intende).
Eravamo partiti con la Spagna al primo posto nel ranking Fifa con 1456 punti, una posizione che occupa dal 2008. E l’Italia assestata nelle retrovie del 12° posto (ottava europea) con 977 punti. Ci presentavamo con una nazionale, non a caso ridefinita Furie rosse, che portava in dote i 53 scudetti complessivi conquistati da Real e Barcellona, i club che le hanno dato il maggior numero di giocatori, e invece l’Italia possiede nei giocatori di Juve e Milan le squadre con miglior pedigrèe, ultime due a conquistare il titolo ma non proprio convincenti nella forza, almeno a livello europeo.
Stasera avremo qualcosa da riscrivere o da ripensare. Casillas e Buffon si giocheranno l’ultima partita della sfida al vero numero uno, come fossero pokeristi incalliti, ma senza bluff. Avete visto in questi giorni lo sguardo di SuperGigi? Guardate lo score di Casillas. Quasi impossibile segnargli gol nelle ultime otto partite giocate in una fase finale europea, c’è riuscito solo Di Natale. Balotelli si porterà a casa solo i baci di mamma e un rinato amore con il pubblico italiano? O anche una coppa da aggiungere al suo già cospicuo pedigree per la giovane età e magari una fiche in più da buttare sulla roulette del pallone d’oro. Balotelli o Iniesta? Xavi o Pirlo? Vien spontaneo cercare fra loro l’alternativa d’oro a Cristiano Ronaldo e Drogba.
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