La sinistra ha perso il controllo dell’uomo che doveva portarla alla salvezza e ora sta vivendo uno strano gioco di specchi. Quando guarda il volto di Monti le sembra di scorgere in controluce il profilo di Berlusconi. I due, in verità, non si assomigliano per niente, ma la paura, quasi atavica, gioca brutti scherzi.
Cosa è successo? Perché questo sentimento di rivolta? Il Pd, più ancora del Pdl, è stato uno dei garanti del governo tecnico. Monti doveva essere il suo campione, antitesi della stagione berlusconiana, l’uomo in grado di salvare l’Italia dallo spread e dal tormentone «finiremo come la Grecia».
Il Pd sperava di controllarlo, di ritagliargli, usando il vecchio modello dalemiano, un vestito da Ciampi: il bocconiano rassicurante verso i moderati e i poteri forti, gradito a banche e a Confindustria, ma con la targhetta Pd cucita sulla tasca interna. Perfetto, quindi, per rappresentare la transizione verso il post berlusconismo.
Qualcosa però non ha funzionato. Monti quel vestito lo ha rifiutato. Non si è mai sentito un burattino nella mani del Pd. È andato avanti a testa bassa, in fretta, senza prendere le distanze dal suo predecessore, senza tutelare gli interessi politici di Bersani. Il Pd si è reso così conto che questi tecnici gli stavano sfuggendo di mano. Prima i mugugni sotterranei e poi le manovre per rivoltarsi contro il cavalier Monti.
Così, ogni giorno che passa, il premier del governo tecnico non è l’austero, affidabile, responsabile rettore della Bocconi, ma il Cavalier Monti. Ecco il punto. Anche l’uomo con il loden sta diventando un uomo da abbattere.
Non ci sono solo i sindacati, che per vocazione da anni si battono contro tutte le riforme e vedono la manovra del governo come un’insidia alle loro certezze. Cgil, Cisl e Uil si sono ritrovate insieme per uno sciopero che assomiglia a una testimonianza: noi esistiamo. Il sindacato, insomma, sciopera per sentirsi vivo. Molto più interessante è quello che avviene nei partiti. La sinistra vendoliana ogni giorno sottolinea che questo non sarà il governo Berlusconi, ma a lei fa venire comunque il mal di pancia.
Di Pietro, orfano del Cavaliere originale, sente la mancanza di un nemico verace e sceglie una strategia ambigua: un po’ è maggioranza, un po’ opposizione. Invidia la Lega di Bossi, ma non ha il coraggio di sfilarsi del tutto dalla partita dei tecnici. Ma a guidare la rivolta, dietro le quinte, c’è soprattutto il Pd, e questa davvero è una sorpresa. Non può farlo in chiaro e a brutto muso, perché Monti è stato scelto dal sommo sacerdote Napolitano, ma lo stesso Bersani sembra stia perdendo la pazienza. C’è da capirlo, visto che i costi politici dell’operazione governo tecnico li paga soprattutto lui.
La scintilla che ha fatto definitivamente esplodere la pazienza dei vertici del Pd è stata la questione del taglio agli stipendi dei parlamentari. Non è un caso che a battere i pugni sul tavolo sia stata Rosy Bindi: «La sforbiciata? Un errore che da un governo di competenti non ci si aspettava. Serve un’operazione verità». Lo sfogo della Bindi nasce da un ragionamento. Quelli del governo sono stati scorretti.
Non toccava a loro decidere sugli stipendi dei parlamentari, e lo sapevano, ma in questo modo hanno costretto i politici a dire no, a fare la parte della casta egoista. Un trucco - secondo il Pd - che serve a Monti per spostare la rabbia dei tartassati dal governo al Parlamento, dai tecnici alla «casta». Insomma, quello di Monti non sarebbe un errore ma una furbata.
Il guaio è che questa è una ricostruzione del Pd, di un partito che non si fida più del super tecnico. L’obiettivo di Bersani e soci è quindi uscire da questa situazione. Come far cadere Monti? Tra i banchi del Pd gira questa battuta: meglio passare per irresponsabili che per fessi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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