E il Pd si divide pure sul calzino

A pochi giorni dalle primarie, la sfida tra i democratici è tutta incentrata sul pedalino: Franceschini punta sul turchese per solidarietà a Mesiano. Ma Bersani si smarca e i suoi ostentano colori scuri

E il Pd si divide pure sul calzino

E alle mutande quando ci arrivano? L’assegnazione è indiscutibile, slip per la mozione Marino, boxer per Franceschini e mutandoni ascellari stile Fantozzi per Bersani, si può già partire. In attesa della guerra delle mutande, nel Pd infuria la guerra del calzino. Tanto che Renzo Lusetti, interrogato in Transatlantico se abbia indossato i calzini turchesi consigliati dal segretario, solleva il pantalone mostrando pedalini scuri sorridendo: «Io sto con Bersani». Dario Franceschini e Pierluigi Bersani litigano infatti, anzi si «bucano» anche sui calzini: il segretario ancora in carica propaganda l’uso dei calzerotti turchesi per manifestare contro il premier, il concorrente per ora in testa dice no alle calze opponendo una «opposizione forte».

Il meglio di sé, Franceschini l’ha dato ieri facendosi ospitare da Zoro (con una «erre» sola e la «zeta» alla romana), blogger noto ai navigatori con pochi impegni e molto tempo solitario, al quale ha portato in dono un paio di calzettoni turchese, spiegandogli che questa forma di solidarietà col giudice Mesiano è anche una campagna politica. Quello un po’ lo sfotteva, ma ’ndo vai co ’sti carzini, e lui a vantare che «intanto Brachino ha chiesto scusa. Non sarà merito delle mie calze turchesi, ma nella società della comunicazione più gesti si fanno per far capire che non abbiamo perso la capacità di indignarci, e meglio è».

Poi il colpo di scena, Zoro ha afferrato la gamba dell’ospite sbattendola sulla scrivania a due dita dalla telecamera, gridando: «Ecco il calzino di Dario Franceschini!». Sorpresa: tirava più sul bianco che sul turchese, e il blogger ha ironizzato che «in effetti sono vagamente turchesi, speriamo che non siano quelli di ieri». «No, li ho cambiati», ha assicurato il segretario. La voce del dissenso di Bersani non s’è fatta attendere, anche per lui «l’informazione viene usata come un manganello», ci mancherebbe altro signora mia, ma si dissocia: «Non indosserò calzini turchesi». Auspica una «opposizione forte» Bersani, disdegna «la gara a chi urla di più» e invoca quella «a chi dà il maggior per costruire un’alternativa». Sì, quella del calzino rosso.

Già, forse Bersani rifiuta i calzini di Franceschini perché nella memoria della sinistra quell’indumento è imbarazzante, forse più delle mutande. «Basta calzini rossi» era lo slogan con cui la Cdu di Helmut Kohl vinse nel 1994 contro i socialisti che s’erano alleati coi postcomunisti della Germania dell’Est. Con un manifesto di grande efficacia: un vecchio calzino rosso appeso con una molletta a uno spago e lo slogan «Verso il futuro... ma non con i calzini rossi!». Rote socken è l’epiteto che nel Sessantotto si usava per gli estremisti della protesta studentesca.

Ma per restare coi piedi in terra e tanto per non uscir dal tema, come ci si può sottrarre alla teoria e prassi del calzino, alla mistica del pedalino, all’elogio del calzettone? La colonna sonora non può essere che quella di Vinicio Capossela, «Il paradiso dei calzini» che surreale si interroga e canta: «Dove vanno a finire i calzini - quando perdono i loro vicini - dove vanno a finire beati - i perduti con quelli spaiati - quelli a righe mischiati coi pois - dove vanno nessuno lo sa». Se Bersani teme il richiamo tedesco, non è che Franceschini riveli maggior coraggio. Certamente la foto che lo ritrae mentre pudicamente scopre la caviglia celeste, e nemmeno quella sul tavolo di Zoro, prenderanno mai il posto nell’immaginario collettivo della foto di Paul Wolfowitz, il presidente della Banca mondiale beccato nel gennaio 2007 sull’ingresso di una moschea a Edirne, in Turchia, mentre si toglieva le scarpe come vuole la regola, mostrando ambedue i calzini clamorosamente bucati, alluci al vento.

Questo della politica nostrana è un mondo che si stupisce e arriccia il naso perché d’estate Roberto Calderoli calza i mocassini a piedi nudi, manco Franceschini andasse in spiaggia con le calze come gli ucraini a Rimini. Il calzino è da sempre un tallone vulnerabile per i politici italiani, assai più che per Achille. Raccontava Indro Montanelli che una volta, volendo dare una nota di umanità a Luigi Einaudi, scrisse di aver notato che sotto il rigoroso doppio petto blu il presidente indossava calzini verdi. Donna Ida s’infuriò, e telefonò al direttore del Corriere tuonando che Montanelli mentiva, suo marito non aveva mai portato calzini verdi.

Ma infine, quanto son lunghi i calzini di Franceschini? E per non farli calare, porta le giarrettiere o usa gli autoreggenti? Strumenti sconosciuti, anzi blasfemi per la cultura democristiana solidamente affondata nei calzini corti. Anzi cortissimi, i deputati della Coldiretti battevano tutti gli «amici», sembrava che si rifornissero allo stesso spaccio di un consorzio agrario.

Ma che spettacolo, quelle gambe scudocrociate sui divani del Transatlantico col risvolto dei pantaloni che mostrava inesorabilmente tre centimetri di calzino e due palmi di pelle pallida e grassoccia. No, forse anche Franceschini, come Bersani, farebbe meglio a lasciar perdere i calzini.

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