Ecco il campionato dei grandi maleducati

Vestire la maglia di un club significa accettarne i soldi ma anche la disciplina. Quelli che... è sempre colpa degli altri. E ce n’è anche per Mourinho: "È il migliore, ma come uomo deve ancora imparare il rispetto", parola di Balotelli

Ecco il campionato 
dei grandi maleducati

Chi insegna la buona creanza ai calciatori? Chi dice loro che vestire la maglia di un club significa accettarne, oltre ai denari, il regolamento, la disciplina, magari dopo averne studiato la storia? Chi spiega al signor Muntari che giocare nell’Inter, per lui, è un privilegio e non un diritto sancito dalle leggi divine? Chi ricorda al campione Materazzi o al campione Chivu che l’allenatore, anche se non vincente, è comunque una persona da rispettare, al di là delle sue idee di gioco? Chi informa il signor Vucinic che Ranieri Claudio ha la responsabilità tecnica di scegliere la formazione della Roma e le eventuali modifiche in corso? Chi illustra a mister Adrian Mutu che una società di football non è una discoteca e nemmeno un saloon dove scaricare la propria cultura (si fa per dire)? Chi ricorda a Cassano Antonio che non è necessario attendere dieci anni per sapere e scrivere in un libro che cosa sia accaduto tra lui medesimo e il presidente della Sampdoria? Chi elenca al signor Melo Felipe quali siano le elementari norme di comportamento con gli avversari e con il resto della comitiva? Domande mille, risposte una sola: nessuno. Perché sono scomparsi i docenti, è stata cancellata l’educazione civica, quella sportivo calcistica poi non ne parliamo, così come la stessa categoria (che cosa è?) di noi giornalisti si è trasformata in una selva di urlanti faziosi e cafoni, come la confindustria di presidenti e dirigenti che una ne fanno e cento ne combinano. Non lascio da parte gli allenatori, tutti, piccoli e grandi. Franz Beckenbauer ha spedito una lettera con l’antrace a Josè Mourinho: «Elegante ma maleducato». Analoga la considerazione di Mario «Lord Byron» Balotelli: «Mourinho è il miglior allenatore del mondo, ma come uomo deve ancora imparare l’educazione e il rispetto». Insomma siamo ben messi, ogni minuto di una partita, dopo lo scambio di saluti, di gagliardetti e la fotografia di rito, ogni conferenza stampa, dopo le presentazioni, ogni intervista flash dopo la prima domanda, può prestarsi al colpo di scena e di scemo.

Non c’è uno che sappia accettare la sconfitta, la staffetta, l’esclusione, il rigore, l’ammonizione, il calcio d’angolo, il fallo laterale, il rimprovero. È sempre colpa degli altri, a Torino, a Milano, a Napoli e a Palermo, ognuno per sè. Avanti così, festeggeremo l’Unità d’Italia.

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