Dana Milibank è una tra le firme più apprezzate del «Washington Post». Il suo compito è di analizzare i fatti politici degli Stati Uniti e di commentare le «gesta» e i «proclami» del principali protagonisti della vita di Washington. Tra questi però c'è Sarah Palin, un politico che fa di tutto per essere sempre al centro dell'attenzione e che - magari suo malgrado come nel caso del drammatico attentato dell'8 gennaio a Tucson dove hanno perso la vita cinque persone - ci riesce puntualmente. La Milibank sottolinea più volte nei suoi articoli questa smania di apparire dell'ex governatore dell'Alaska, paladina dei Tea Party e stella in ascesa all'interno della galassia repubblica.
A questo punto, sul finire di gennaio, la Milibank prova a ribaltare la situazione. Scommette con amici e colleghi che riuscirà a onorare al meglio il suo compito senza però nominare mai la Palin. E sembra esserci riuscita, con sua piena soddisfazione (impossibile sapere, però, se i suoi lettori sono rimasti altrettanto soddisfatti).
«No Palin? No problem» è infatti il titolo del divertente articolo di Dana Milibank apparso ieri sul «Washington Post», in cui l'opinionista racconta come è riuscita a vincere la sfida. Apertamente progressista, e quindi avversaria della stella dei Tea Party, Dana Milibank ha dimostrato che, seppur a fatica, è possibile imporsi una sorta di «moratoria» sui commenti alle gesta di una leader che fa di tutto per essere al centro dell'attenzione dei media. «Ammetto che nei primi giorni avevo grossi dubbi sul fatto che potessi vincere questa scommessa con me stessa. Cosa sarebbe successo - racconta la giornalista - se in questo periodo avesse annunciato la sua candidatura alla Casa Bianca? Ogni volta che Fox News annunciava un "alert", una grande notizia su di lei, o che i media aspettavano un nuovo twitter di Sarah, tremavo». «Poi però - aggiunge con una buona dose di perfidia - scoprivo che non c'era mai una vera notizia. Ma sempre tanto rumore, abbastanza da farle guadagnare un milione di dollari l'anno per la sua collaborazione alla Fox». Del suo «fioretto giornalistico» ha parlato anche Jay Leno, un famosissimo comico tv. In uno dei suoi monologhi, qualche giorno fa, ha preso in giro l'iniziativa, ma in modo molto affettuoso. «C'è qualcosa di stupido in questa idea. Se devi scegliere un mese per non parlare di Palin, perché puntare su febbraio, che è il più corto dell'anno?», ha scherzato Leno. Per calmare la sua «astinenza» da Palin, scrive la giornalista, ha usato come «metadone», Michele Buchmann, un'altra paladina dell'ultra-destra. Tuttavia ammette che non è stato per nulla facile. «Ho dovuto fare molta fatica a non scrivere di Sarah quando ha attaccato Michelle Obama che ha avuto l'ardire di sostenere l'allattamento al seno. Oppure quando Politico. come ha annunciato il suo viaggio in India...».
E se provassimo a trasferire il modello del fioretto giornalistico anche da noi?
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