I collezionisti d'arte possono essere odiosi. Adorano pavoneggiarsi, mostrandoti i loro pezzi più di valore mentre ti elargiscono il dettaglio di quanto li hanno pagati, e fanno commenti derisori sulle opere che più ami della tua collezione. Io sto con l'altra parte della categoria, cioè con la minoranza entusiasta e generosa che colleziona perché all'arte e agli artisti tiene, tanto da fare, più che investimenti, piccolo o grande mecenatismo. C'è chi fa delle «mostre in casa» per far conoscere artisti esordienti a curatori e galleristi, e chi, come Elena Cassin (alias Madame Collecte), ha formato un cenacolo di collezionisti dove invita i giovani artisti a parlare di sé. C'è anche chi, come Giulio Raffaele (alias Silent Art Explorer), finanzia a fondo perduto residenze d'artista, o ancora chi, come Giuseppe Iannaccone, fa acquisizioni importanti di artisti ancora poco conosciuti, di fatto regalandogli un mercato. Poi c'è anche chi prova a fargli attraversare i confini nazionali.
Come va l'arte italiana all'estero? «Male, non contiamo niente, ci ignorano», è la litania con cui rispondono gli addetti ai lavori. Che poi citano Cattelan, Boetti, o più di recente Salvo, come i nostri pochi connazionali che hanno fatto breccia nel mercato internazionale del contemporaneo. Tutto vero, anche se si potrebbero almeno aggiungere nomi di successo come Guglielmo Castelli, Rudolf Stingel, Isabella Ducrot. Ma sono artisti di fascia alta, con una carriera alle spalle o addirittura già passati a miglior vita. È con l'arte giovane, quella dei trentenni e dei ventenni, che rischiamo di scomparire. Per fortuna ci sono collezionisti come Roberto Rumi, che a Dongo, sul lago di Como, ha trasformato parte dell'azienda agricola di famiglia in spazi espositivi (dove ospita residenze d'artista di giovani italiani), e che ora ha creato un ponte con il Sud-Est asiatico. Dal 25 gennaio al 22 febbraio, con il patrocinio dell'ambasciata italiana, nella galleria Altro Mondo di Manila si terrà la collettiva New Art Frontiers, dove verranno esposti 31 giovani artisti che hanno studiato, o ancora studiano, all'Accademia di Belle Arti di Venezia. E che lì hanno lavorato, o tutt'ora lavorano, nel leggendario Atelier F di Carlo di Raco.
Andiamo con ordine: Altro Mondo è la galleria di Remigio David, uno tra i più importanti collezionisti e galleristi filippini, e Roberto Rumi, che con David ha una conoscenza di lunga data e si è occupato di scegliere gli artisti da portare a Manila per questa prima collettiva italiana. Rumi ha iniziato la selezione degli artisti partendo da quelli che conosce meglio, perché li ha in collezione, come Paolo Pretolani, Chiara Calore, Eric Pasino. Da lì, con un processo spontaneo di aggregazione, sono arrivati gli altri: da promesse come Alessandro Artini, Tommaso Viccaro, Marila Scartozzi, che hanno poco più di vent'anni, a trentenni ben avviati come Francesco Casati, Francesco Zanatta, Pierluigi Scandiuzzi. Il fattore comune che ha guidato questo processo di scelta è stato appunto l'Atelier F. È un nome che ricorre nei discorsi tra giovani artisti, pronunciato con perplessità e sgomento da chi ha studiato altrove e con orgoglio da chi invece ci è passato. Anche se, in quest'ultimo caso, con circospezione, sottovoce, come se si rivelasse di appartenere a una società segreta.
L'Atelier F è un'emanazione del più noto e longevo corso di pittura dell'ABA Venezia, quello tenuto da Carlo Di Raco, a cui si è di recente aggiunto come docente Martino Scavezzon. Di Raco medesimo contribuisce all'aura dell'Atelier F: lunghi capelli biondi, viso angoloso, abiti estrosi, o così si intravede nelle pochissime fotografie che di lui si trovano in rete, dove non compare mai come soggetto centrale ma a margine, sfocato, quasi fossero foto rubate. Il suo atelier è sempre aperto, e d'estate si trasferisce nel Padiglione Antares di Mestre, dove, in ottobre, da quattro anni si tiene l'open space Extraordinario. Nell'atelier ogni angolo è zeppo di tele, ci lavorano decine di studenti che si scambiano giudizi e suggerimenti, spesso aiutati da artisti diplomati anni addietro, che tornano lì a dipingere, mentre Di Raco e Scavezzon girano tra i cavalletti e discutono in pubblico l'opera più recente di ciascuno. L'Atelier F è un'entità conchiusa, magnetica, un organismo collettivo dove l'individualità pare non essere ben vista. Durante Extraordinario, per esempio, accanto ai quadri non ci sono i cartigli con il nome dell'artista: l'importante è la crescita condivisa, il fare scuola insieme, e forse il mercato è percepito come un aspetto che può minacciare la pratica dell'arte. Peccato però che un pittore di qualcosa debba pur vivere, magari meglio se della vendita dei propri quadri.
E Rumi, a cui interessa la bella pittura e il benessere dei suoi artisti, sarà felice che, a Manila, da Altro Mondo si preveda un sold out. Gli esperti concordano: quello del Sud-Est asiatico è un mercato particolarmente vivace. Persino per la giovane arte italiana.
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