Roma - «La querela di Speciale a Padoa-Schioppa si fonda su motivi giuridicamente apprezzabili. Ed è efficace politicamente, perché riporta il caso Visco di fronte al Senato, in una Camera in cui il governo è più debole. Il livello di scontro è molto elevato e questo non giova certo alla stabilità e credibilità dell’esecutivo, né alla compattezza della maggioranza». Il costituzionalista Beniamino Caravita di Toritto riflette sull’ultima mossa dell’ex comandante generale della Guardia di finanza, Roberto Speciale, che accusa il ministro per l’Economia di averlo calunniato e diffamato per difendere il suo vice, Vincenzo Visco.
Perché al Senato?
«Perché Padoa-Schioppa non è parlamentare, ma come ministro per procedere contro di lui occorre l’autorizzazione del Senato, secondo la legge costituzionale n.1 dell’’89. Se Palazzo Madama concederà l’autorizzazione, la querela verrà poi valutata dal Tribunale dei ministri».
Su che cosa si fonda la querela di Speciale?
«Posso dire soltanto che è ben difendibile. C’è una giurisprudenza consolidata della Cassazione, sia in sede civile che penale, che pone dei limiti al diritto politico di critica o alla valutazione istituzionale. Anche nell’esercizio delle funzioni di ministro, la libertà di manifestazione del pensiero non può andare al di là di questi paletti e ledere il rispetto della dignità altrui».
Ci spieghi meglio quali sono questi limiti.
«Mi viene in mente una sentenza della Cassazione del 2000, la numero 8734, che mi sembra significativa in questo caso. Citando altre pronunce del 1998 e 1999, dice che l’abuso del diritto di critica politica è nella “gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione, e quindi senza alcuna finalità di pubblico interesse”, che puntano a “screditare” l’avversario evocando “una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne programmi o azioni”. Per la Suprema Corte sono consentiti “toni aspri e di disapprovazione”, ma ciò non deve “trasmodare nell’attacco personale e nella pura contumelia e ledere il diritto di altri all’integrità morale. In questo caso, si aggredisce la “reputazione altrui”».
È successo, secondo lei?
«Non sono io a doverlo stabilire. Dico, però, che c’è spazio per valutare se le affermazioni in Parlamento di Padoa-Schioppa abbiano oltrepassato questi limiti, pur nel rispetto dell’ampia discrezionalità consentita al governo per la nomina o la rimozione di un comandante della Guardia di finanza. Proprio per questi margini di tollerabilità, certe affermazioni sulla “slealtà e inadeguatezza” di Speciale appaiono non strettamente necessarie per sostituirlo e anche pesantemente contraddittorie con la sua destinazione alla Corte dei conti. Per me, una lesione dell’onorabilità darebbe spazio anche ad un’azione civile, per il risarcimento del danno».
E comunque ci sarebbe anche il ricorso al Tar.
«Mi è sembrata una mossa abile non essere andato subito allo scontro, chiedendo la sospensiva dell’atto di sostituzione. Il ricorso poteva essere respinto e pesare sulle mosse successive. Ora, invece, Speciale potrebbe ottenere l’annullamento della sua rimozione per il vizio classico di “eccesso di potere”, se non per violazione di legge per difetti di procedura. Sono due piani diversi, il penale e l’amministrativo, ma ottenere un riconoscimento sul secondo potrebbe avvalorare il primo».
Se Visco, che ha già rimesso la delega alla Gdf, si dimettesse, come gli chiede qualcuno anche nell’Unione, compreso Cesare Salvi, smorzerebbe lo scontro?
«Vedo che iniziano ad esserci dubbi sul suo comportamento non solo nelle ali moderate della maggioranza ma anche in quelle di sinistra.
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