L’agenzia di rating Moody’s ha messo l’Italia sotto
osservazione, per il debito pubblico, per un possibile ribasso della
valutazione che è Aa2, ma potrebbe peggiorare, in relazione a tre
criticità: la bassa crescita, il rinvio o accantonamento delle riforme
economiche, l’incertezza politica riguardante il governo e quindi le
manovre di taglio del deficit da esso previste. Di questo rischio di
degrado del rating, che rende più difficili le riforme
fiscali di ampia portata e quindi con problemi di copertura del
costo, dobbiamo dire grazie alla sinistra e agli apprendisti stregoni
che l’hanno sostenuta nelle amministrative e nei referendum, per
abbattere Berlusconi. Tutte le crisi debitorie emerse in Europa hanno
avuto, come innesco, una crisi politica, cioè una carenza di
governo o un governo non credibile.
Papandreu, in Grecia, ha evitato il disastro solo perché ha fatto un rimpasto che si spera gli dia autorevolezza. Ma se Berlusconi fosse fatto cadere e l’alternativa fosse incerta, col rischio di una accozzaglia coi Vendola e i De Magistris della sinistra populista, che giudizio potrebbero dare le agenzie di rating?
L’Italia, in un anno,
ora, mette sul mercato, per il rinnovo, circa 255 miliardi di
debito, sui 1900 circa totali, con i titoli per il nuovo deficit si
arriva a 300 miliardi. Se il declassamento del rating di un punto
generasse un aumento dell’1% nel tasso di interesse, il maggior
onere sarebbe solo di 3 miliardi, 0,2 punti di Pil. Ma una parte di
questi prestiti a causa di risultati non favorevoli delle aste,
verrebbe collocata sotto la pari e c’è il rischio di perdere un’altra
decina di miliardi. Nel 2012, il deficit invece che
scendere al 2,7 salirebbe al 3,5. Il pareggio nel 2014 sfumerebbe.
Altri degradi di rating sarebbero in vista. Non varrebbe l’argomento
che Moody’s ha commesso sbagli e preso abbagli garantendo per buoni
prodotti finanziari derivati che si sono rivelati quasi spazzatura ed
ora è sotto inchiesta. Colla caduta del centrodestra, si aprirebbe
un periodo di vuoto. Non solo Moody’s, anche le casalinghe si
preoccuperebbero, fra l’altro perché sentirebbero odore di imposta
patrimoniale e di raddoppio dell’imposta secca sulle rendite
finanziarie e i capitali lascerebbero il
Paese e comunque non andrebbero nei titoli pubblici. Ma anche se
l’attuale governo,per rimanere in carica, decidesse di fare una
rilevante manovra fiscale senza copertura, ad esempio
di quasi un punto di Pil, la pagherebbe con un degrado di rating,
cogli effetti appena descritti. E il nostro deficit salirebbe a
livelli come quelli di cui abbiamo appena parlato, anche nella
miracolosa ipotesi che lo sgravio fiscale senza copertura facesse
salire il nostro Pil di un punto, generando mezzo punto in più di
entrate.
Siamo, dunque, in trappola? No, la crescita si può stimolare e il degrado di Moody’s si può evitare, se poniamo rimedio alle pecche che lo possono giustificare. Non solo questa agenzia di rating, ma anche tutti gli esperti che capiscono qualcosa dell'economia di mercato lamentano che noi non facciamo le riforme del mercato del lavoro che riguardano i contratti aziendali flessibili, non realizziamo le liberalizzazioni dei beni e servizi, non facciamo politiche pubbliche pro crescita. I referendum hanno affossato una legge che riguarda la privatizzazione dei servizi pubblici locali, di ogni specie, non solo l’acqua.Certo,anche senza questa legge, gli enti locali possono privatizzare i propri servizi, per farvi affluire gli investimenti privati.
Ma il segnale è in senso contrario. E come si tonificano gli investimenti se le centrali nucleari non si fanno più, causa referendum? E se, sempre in virtù dei veti, non si fanno la Tav Torino- Lione, il Ponte sullo Stretto, le altre grandi opere, il piano casa? Urge occuparsi di questi temi. E occorrono misure tributarie pro-crescita, come la riduzione di aliquote sulle imprese, sul salario di produttività, sui contributi sociali del lavoro dei giovani, fattibili con una perdita di gettito contenuta, che si può recuperare limando le spese, e la giungla di agevolazioni ed esoneri fiscali. Non pare invece fattibile, ora, la mega riforma tributaria, che richiederebbe una manovra troppo grande di recupero del gettito. Essa, piuttosto, va enunciata ed anticipata mediante l’attuazione di prime tranche «sociali», che generano il consenso necessario per attuare le misure di rigore. Mi sembra che il quoziente familiare rientri, con priorità, fra queste.
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