«Rifiutate qualsiasi testo o formula (nel documento definitivo della Cop 28 di Dubai, ndr) che miri all'energia, cioè ai combustibili fossili, piuttosto che alle emissioni». È questo, in sintesi, il messaggio di una lettera inviata dall'Opec ai suoi 13 membri (i principali esportatori di petrolio) scatenando una vera e propria bufera internazionale.
La lettera parte dall'assunto che «la pressione contro i combustibili fossili potrebbe raggiungere un punto critico con conseguenze irreversibili». E fa il paio con le recenti esternazioni, sempre alla Cop28, di Sultan Al Jaber, presidente della Cop28 di Dubai, ma anche della società emiratina petrolifera, secondo cui «senza petrolio torniamo alle caverne». Ma se il ministro francese dell'Energia, Agnes Pannier-Runacher, si è detta «sbalordita» e «arrabbiata», la spagnola Teresa Ribera non ha esitato a dirsi «disgustata». Per il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica italiano, Gilberto Pichetto Fratin, c'è poco da meravigliarsi: «La Cop28 ha la rappresentanza dei Paesi ma anche la rappresentanza di tanti blocchi di interesse, sarebbe da stupirsi se l'Opec, che rappresenta i Paesi produttori e venditori di petrolio, non tutelasse i propri interessi».È poi pur vero che «la Cop deve dare un percorso che è la decarbonizzazione e che quella dell'Opec è una mossa di puro interesse di parte». Da tempo si parla della necessità di rendere sostenibile la transizione energetica e non si tratta di negare il cambiamento climatico. La lettera dell'Opec dunque indigna, ma apre a un dibattito inevitabile: chi non vede ciò ha fette di prosciutto sugli occhi, perché i 13 hanno molto da perdere. Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Algeria, Nigeria, Angola, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale e Venezuela possiedono l'80% delle riserve petrolifere globali e hanno prodotto circa il 40% del petrolio mondiale negli ultimi dieci anni. Da questa fonte dipende gran parte della loro economia e il recente prezzo del petrolio in calo (il Brent è a quota 75 dollari) li preoccupa, tanto da voler impedire che nella decisione finale della Cop28 si preveda l'eliminazione graduale dei combustibili fossili: scelta che nasce dalla necessità di tenere entro il limite di 1,5 gradi l'innalzamento di riscaldamento globale al 2050. In particolare c'è molta attenzione ai prezzi nel breve termine e l'Opec è sotto pressione perché, nonostante i tagli già decisi, i prezzi restano bassi. Questo anche a causa degli Usa: dagli ultimi dati dell'Energy Information Administration americana, a settembre la produzione di greggio degli Stati Uniti (13 milioni di barili/giorno) ha stabilito un nuovo record assoluto. Fatto che rivela come tra Washington e Riad, sia sfida all'ultimo barile.
A pesare sul futuro greggio sono anche l'economia globale debole e le difficoltà della Cina. Gli analisti, infatti, vedono il greggio Wti dirigersi verso i 40 dollari al barile. Quanto basta ai Paesi interessati per alzare le barricate.
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