"Non c’è nessun ultimatum da parte di Etihad, anzi il governo procede con forza e farà la sua parte, la settimana prossima di deve chiudere". All'indomani dell'ennesima protesta dei sindacati il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi mette in chiaro che sul tavolo del governo non c’è alcunun piano B: "C'è solo un grande piano A". Il rischio (concretissimo) è che l'accordo con gli emiri di Abu Dhabi salti proprio a causa di quei sindacati che, nonostante il baratro in cui sta sprofondando l'Alitalia, continuano a difendere a oltranza lo status quo. Eppure dal 1993, quando la crisi della compagnia di bandiera divenne pubblica, ad oggi sono stati bruciati ben 21 miliardi di euro. Al pari di un'imponente finanziaria. "Solo un marziano capirebbe le divisioni all’interno dei sindacati - commenta il ministro - della rappresentanza di quale azienda parlano: la grande compagnia che sarà o quella che chiuderà?".
Da Palazzo Chigi continua a trapelare ottimismo. L'accordo con Etihad si farà. I sindacati non riusciranno a farlo saltare. Eppurei segnali che arrivano dai sindacati sono diversi. La tensione continua a salire: la posta in gioco è davvero alta. "Tutti si devono rendere conto che l’alternativa è tra mille o 15mila esuberi", chiosa il presidente del Consiglio con forte realismo. Ieri il referendum tra i lavoratori sugli accordi integrativi del gruppo Alitalia non è riuscito a raggiungere il quorum facendo così esplodere lo scontro tra le sigle sindacali. Da una parte la Uilt che ha alzato le barricate ritenendo la consultazione non valida. Dall’altra le sigle che hanno sottoscritto l’intesa: Filt-Cgil, Fit-Cisl, Ugl trasporti e Usb secondo cui la consultazione è legittima. Secondo fonti vicine al dossier, però, la spaccature tra i sindacati potrebbe mettere a rischio l’inesa con Etihad. Il ché significherebbe un'altra paccata di miliardi sprecati che andrebbero a sommarsi a quei 21 che già ci sono costati dal 1993 oggi.
Negli ultimi ventun anni, come calcola Libero, la compagnia di bandiera ci è costata più di una finanziaria. E quel che è peggio è che i soldi spesi (buttati) non sono serviti a farla decollare. Dagli anni Novanta a oggi, infatti, Alitalia ha chiuso solo un anno con un segno più davanti al bilancio: nel 1999. Anche in quell'occasione, però, non fu merito loro ma dei 250 milioni di euro staccati dalla Klm per rompere il matrimonio con Roma. Per il resto la storia dell'Alitalia coincide con un lungo flop ecconomico. Tra ricapitalizzazioni e debiti ripianati ci è costata circa 13 miliardi. Di questi ben cinque sono stati stanziati tra il 1998 e il 2008. Poi la morte. E la rinascita sotto il nome Cai. Un'operazione orchestrata da Banca Intesa con un costo finale di 5 miliardi di euro. A questi 18 miliardi dobbiamo, infine, aggiungerne altri tre che serviranno a sostenere l'accordo con gli emiri.
In base all'intesa con Etihad lo Stato italiano dovrà, infatti, farsi carico degli oneri della cassaintegrazione e della mobilità per i circa 2.500 esuberi e dei debiti che adesso giaciono nella cassde di Banca Intesa e Unicredit.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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