Uno degli ultimi rapporti della Bundesbank a firma del presidente dimissionario, Jens Weidmann, è un'esplicita ammissione di debolezza: Non ce la faremo. Già: a Francoforte si sventola la bianca sull'obiettivo di chiudere l'anno con una crescita del Pil pari al 3,7%. La coda pandemica, la penuria di chip e i colli di bottiglia negli approvvigionamenti hanno trasformato la Germania in una vecchia locomotiva che arranca in salita. E fatto invecchiare precocemente le previsioni di giugno, quando lo slancio della ripresa pareva solido e duraturo. La sparizione del magic moment è sottolineata dalla Buba con l'utilizzo rafforzativo degli avverbi: Nel 2021, è probabile che il Pil cresca significativamente meno di quanto previsto. Nel trimestre in corso l'attività macroeconomica dovrebbe indebolirsi notevolmente. È probabile che il forte slancio nel settore dei servizi diminuisca considerevolmente. Il meno del previsto equivale per gli analisti a un incrementino del 2,7%. Più che un colpo di reni, un colpo della strega.
Non un buon viatico per il governo a matrice socialdemocratica in via di formazione, che forse farà meglio a sostituire il motto Deutschland über alles con il meno roboante e monacale silenzio, e pedalare. Anche perché qualcuno riesce a ancora correre, tipo l'Italia, che dovrebbe chiudere l'anno con un rimbalzo del 6%. Il risultato arriva dopo il micidiale -8,9% del 2020, contro la contrazione tedesca del 5%, ma il sorpasso rischia comunque di risultare indigesto a Berlino. Eppure, c'è poco fa fare: capita pure che le virtù si tramutino in debolezze.
Un Paese così fortemente export oriented paga più di tutti la penuria di semiconduttori che ha messo in crisi soprattutto il settore dell'automobile, da cui deriva una fetta cospicua della ricchezza nazionale; un Paese a connotazione manifatturiera sconta le difficoltà a mettere le mani sulle merci ordinate. Consegne ritardate, talvolta dilatate fuori tempo massimo, finiscono poi per tracimare giù a valle, fino al commercio al dettaglio. E ciò significa scaffali meno pieni nel redditizio periodo di Natale, quando le merci disponibili potrebbero peraltro esibire rincari tali da scoraggiare gli acquirenti. Un altro colpo basso al Pil.
Se i consumatori soffrono la perdita di potere d'acquisto, l'umore delle imprese tendente al plumbeo viene intercettato dall'Ifo che parla di clima di fiducia flettente in quasi tutti i settori, con un vero e proprio crollo nel comparto della distribuzione. Insomma: si coglie la rassegnazione che la ripresa vera non arriverà prima del 2022. E ci si interroga su quali saranno le prime mosse del nuovo esecutivo, molto probabilmente guidato dalla Spd di Olaf Scholz, in coalizione con Verdi e Liberali.
La debolezza della recovery dovrebbe consigliare prudenza nell'irrigidimento delle politiche economiche, oltre che evitare il ripristino del pareggio di bilancio e la riproposizione del Patto di stabilità Ue. Tre punti delicatissimi, ma cardine della campagna elettorale del capo della Fdp, Christian Lindner.
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