Il violento sell-off di questa settimana ha colto alla sprovvista tanti investitori. Probabilmente non l'oracolo di Omaha. Nei mesi scorsi - quando la rassicurante discesa dell'inflazione e un'economia statunitense in salute accompagnavano Wall Street a segnare record su record - il guru Warren Buffett si era mosso con congruo anticipo in vista di tempi più difficili. Dalla trimestrale di Berkshire Hathaway emerge infatti la vendita di abbondanti quantità di azioni (76 miliardi di dollari di valore) e l'aumento a livelli record della liquidità in pancia (277 miliardi). E soprattutto Buffett ha liquidato a sorpresa la metà della sua quota in Apple (circa 390 milioni di azioni). Il colosso di Cupertino è di gran lunga il suo investimento più redditizio nell'ultimo decennio, con un guadagno del 620% rispetto a quando nel 2016 mise nel radar la Mela morsicata. Già nei due precedenti trimestri Berkshire aveva alleggerito la quota in Apple, ma in quantitativi decisamente inferiori.
La decisione del 93enne investitore di dimezzare l'impegno in Apple rappresenta quindi una forte discontinuità, considerando anche la forte fiducia espressa di recente sull'operato di Tim Cook e su un'azienda che riesce a fidelizzare molto i suoi clienti (Apple beneficia del 94% di fedeltà dei clienti).
Buffett ha sempre detto che l'investimento in Apple non rappresenta una scommessa sulla tecnologia, ma inevitabilmente questa mossa inserisce un'ulteriore elemento di incertezza proprio nel bel mezzo del primo robusto scossone ribassista per i titoli tech da quando è scoppiata l'AImania. L'indice tecnologico Nasdaq ha chiuso l'ultima settimana in territorio correttivo, ossia oltre il 10% sotto i massimi storici, pagando l'emergere del rischio recessione per la prima economia mondiale e il timore che i tagli dei tassi da parte della Fed arrivino troppo tardi. Timori arrivati anche in Europa con Piazza Affari che in due sedute ha ceduto il 5% bruciando oltre 40 miliardi di valore.
Le sirene di allarme non mancano sui mercati e il fondo Elliott Management ha parlato apertamente di bolla per titoli quali Nvidia, emblema dell'euforia da AI con un boom del 600% da inizio 2023. In particolare l'hedge fund gestito da Paul Singer è «scettico» sul fatto che le aziende continueranno ad acquistare le unità di elaborazione grafica di Nvidia a prezzi così elevati. In generale, Elliott esprime dubbi sull'AI, temendo che molti dei suoi usi «non saranno mai efficienti in termini di costi, non funzioneranno mai correttamente, richiederanno troppa energia o si riveleranno inaffidabili».
Quindi il mercato rialzista guidato dalle big tech è già finito o si è solo preso una pausa? «Siamo davanti solo a un momento di tensione in una corsa rialzista pluriennale per le azioni tecnologiche - è la secca risposta di Dan Ives, analista di Wedbush - Questa non è una bolla, semplicemente i fornitori di tecnologia inizieranno a monetizzazione questa rivoluzione tecnologica e i suoi diversi casi d'uso già nei prossimi 6-9
mesi».Alessandro Fugnoli, apprezzato strategist di Kairos, sottolinea come l'AI dreni enormi risorse che restituisce solo in parte come ricavi «e da qui in avanti sarà valutata non solo sulle speranze ma anche sui risultati».
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