Nessuna cifra, solo il riaffermato impegno ad accelerare gli acquisti di titoli durante il secondo trimestre, nell'ambito del Pepp. Benchè Christine Lagarde abbia ieri liquidato il tema spinoso del ritiro graduale degli aiuti con un perentorio «è prematuro parlarne, non ne abbiamo discusso», la Bce sceglie di mantenere le carte coperte su come intende contrastare nei prossimi mesi possibili ulteriori tensioni sui rendimenti dei titoli sovrani decennali. La cui media è salita fino allo 0,18%, rispetto al -0,26% di dicembre, di riflesso all'inasprimento della curva dei tassi dei T-bond Usa causato dai timori di un surriscaldamento dell'inflazione in seguito al varo del pacchetto di stimoli da 1.900 miliardi di dollari da parte della Casa Bianca.
Se è pur vero che alcune stime recenti proiettano a circa 80 miliardi di euro lo shopping di aprile, più dei 74 miliardi di marzo e una cifra decisamente superiore rispetto ai 53 e 60 miliardi di febbraio e gennaio, è altrettanto vero che il silenzio sull'argomento rivela non solo la volontà dell'Eurotower di non impegnarsi ex-ante, ma è anche è la spia del braccio di ferro in atto fra chi, i falchi dell'istituto, vorrebbe accelerare la tempistica del tapering e chi, invece, preferisce mantenersi prudente in attesa di conoscere l'evoluzione delle campagne vaccinali. Meglio insomma non esporsi troppo, in modo da non accentuare le frizioni interne. D'altra parte, il piano contro l'emergenza pandemica da 1.850 miliardi ha già una scadenza incorporata, la fine di marzo 2022. Ma è un fine vita scritto sull'acqua: se la fase critica legata al Coronavirus dovesse concludersi prima del previsto, il Pepp arriverebbe al capolinea.
Sotto questo profilo, la riunione di giugno diventa con buona probabilità lo snodo decisivo su ciò che Francoforte farà dopo l'estate. Le nuove previsioni economiche diranno infatti quale coloritura avrà preso la ricostruzione (in marzo si ipotizzava un Pil in crescita quest'anno del 4%, del 4,1% nel 2022 e del 2,1% nel 2023) e se, davvero, il rialzo dei prezzi al consumo (1,3% il mese scorso contro lo 0,9% di febbraio) è solo un fenomeno transitorio. «È probabile che l'inflazione crescerà nei prossimi mesi con qualche episodio di volatilità - ha detto la banchiera francese - Le pressioni di fondo sui prezzi si mantengono contenute in un contesto di debolezza della domanda e significativa capacità inutilizzata nei mercati del lavoro e dei beni e servizi». Con le informazioni disponibili finora, l'ex leader del Fmi non può quindi che reiterare, come ha fatto ieri in conferenza stampa dopo che il board ha mantenuto invariati i tassi e confermato i 20 miliardi mensili del vecchio quantitative easing, il mantra degli ultimi anni: la necessità di una politica monetaria accomodante da sorreggere con un'altra stampella, quella fiscale, in attesa che i requisiti del Patto di stabilità vengano rivisti e migliorati tenuto conto che quei criteri stringenti erano stati stabiliti negli anni '90. Un mondo nuovo richiede regole nuove, soprattutto perché «l'economia dell'eurozona ha ancora molta strada da compiere prima di attraversare il ponte della ripresa».
La Bce mette già in conto una maratona defatigante prima di tornare, a metà del 2022, ai livelli pre-pandemici. Ma la robustezza della recovery non sarà uguale per tutti i Paesi, e il percorso non è privo di insidie.
Tra queste, anche il maxi-piano con cui Biden intende traghettare l'America verso lidi più prosperosi, ma che potrebbe riservare sorprese poco gradite sul lato della domanda estera e, di riflesso, sulla crescita. «Avrà un impatto, ma non va sopravvalutato», per Lagarde. Che intanto continua a tenere d'occhio i mercati valutari: non servono altri guai, specie se portati in casa da un euro troppo forte.
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