A Francoforte la parola d'ordine è consolidare. Ovvero diminuire il numero di banche in cui ancora il sistema, non solo italiano ma europeo, è parcellizzato. In un futuro assai prossimo, forse già entro la fine di quest'anno, è dunque prevedibile che il credito nel nostro Paese graviterà attorno a tre grandi pianeti: quello di Intesa Sanpaolo, quello di Unicredit e quello di un terzo polo bancario che potrebbe unire le reduci di quel mondo Popolare ancora rimasto in piedi come il BancoBpm e Ubi, magari annettendo qualche altro satellite come Mps o la stessa Carige salvata di recente se non si farà avanti un buon samaritano straniero.
Le basi vanno gettate in concomitanza con scadenza importanti, a cominciare da quelle sul rinnovo di poltrone di peso nei cda degli istituti nostrani. Ovvero con la scelta dei sensali che dovranno agevolare i corteggiamenti e, sperano alla Bce, consumare le nozze. E non è un caso se per il vertice Banco Bpm, dopo che è stata esclusa la ricandidatura di Carlo Fratta Pasini alla presidenza, dopo quasi vent'anni ai vertici dell'istituto, è spuntata la candidatura di Massimo Tononi. Ex Goldman Sachs, ex numero uno di Cdp, e in precedenza di Mps, il banchiere trentino gode di un'ottima reputazione sul mercato e ai piani alti della Vigilanza Ue. Forse già in settimana il cda potrebbe rendere noti i nomi che gli uscenti proporranno al voto dell'assemblea il 4 aprile dando per scontata, al momento, la riconferma dell'ad, Giuseppe Castagna.
Sempre a primavera dovrà essere rinnovato anche il cda del Montepaschi, compresa la poltrona dell'ad oggi occupata da Marco Morelli, e questo potrebbe allungare i tempi di una soluzione considerando che il nuovo board dovrebbe partire da zero sul dossier. Sarebbe quindi meglio trovare una quadra entro l'assemblea fissata per il 6 aprile.
Consolidare è facile da dirsi sulla carta, ma complicato da farsi. Anche perché non tutti gli ad sono pronti a fare le valigie. Paradossalmente il più sereno sembra essere proprio Morelli: «Il mio mandato è a disposizione degli azionisti in qualunque momento», ha più volte ribadito. L'aver traghettato il Monte di Stato lungo la palude degli ultimi anni è una medaglia che può essere notata anche all'estero per una futura esperienza professionale, magari in una banca d'investimento (arrivando lui, per altro da Merrill Lynch). Per altri non sarebbe altrettanto semplice. E le resistenze di chi non vuole perdere il posto conquistato potrebbero rallentare le aggregazioni. Che dovranno anche fare i conti anche con un tema impopolare, e spinoso di riflesso - anche per il governo Conte oltrechè per i sindacati dei bancari: quello degli esuberi. Mercoledì scorso nella sede dell'Abi si è però riunito il comitato dei banchieri per la riunione mensile. Sul tavolo, il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro dei 282.000 bancari italiani che è stato approvato all'unanimità e che garantisce assieme a un pacchetto di nuove tutele, alla difesa dell'area contrattuale, alla nascita di una cabina di regia sulle nuove tecnologie e a una importante stretta alle pressioni commerciali aumenti medi di stipendio pari a 190 euro mensili. La palla passa ora ai sindacati, anche se le sigle principali hanno già acceso il semaforo verde, e ai lavoratori con le assemblee che partiranno il 6 febbraio e si chiuderanno entro il 13 marzo.
La strada del consolidamento, dunque, è segnata. Non è un caso se a scommettere sul risiko tricolore, fiutando buoni affari sui titoli quotati, sono le banche d'affari americane.
Qualche giorno fa Goldman Sachs ha rilanciato un grande classico - le nozze tra Ubi e Banco Bpm - e Morgan Stanley ha rispolverato il titolo del Monte dei Paschi alzandone, una volta ripulita dai crediti deteriorati, l'obiettivo di prezzo del 54% a 2,1 euro (venerdì ha chiuso a 1,7 euro).
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