Bernabè pronto a lasciare l'ex Ilva

Il presidente di Acciaierie d'Italia: "Ho messo il mandato a disposizione della premier"

Bernabè pronto a lasciare l'ex Ilva
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Franco Bernabè è pronto a lasciare Acciaierie d'Italia, l'ex llva partecipata da Invitalia e Arcelor Mittal che oggi gestisce lo storico sito produttivo italiano dell'acciaio.

Alla presidenza dal maggio 2021, «non mi sono ancora formalmente dimesso dalla carica» spiega Bernabè a il Giornale, ma dopo una lunga interlocuzione con il governo e alla luce della situazione disperata in cui versa l'azienda «ho messo il mandato a disposizione della premier Meloni. Non voglio lasciare nei guai la società e i suoi azionisti, ho un profondo rispetto per il ruolo del governo e non ho intenzione di dare ultimatum spiega , ma una soluzione va trovata. E va trovata ora. Altrimenti il mio passo indietro sarà la conseguenza logica di un manager responsabile che non può stare a guardare mentre gli esplode tra le mani una bomba atomica».

Parole durissime che danno il senso dell'emergenza gravissima che interessa uno dei settori più importanti dell'economia nazionale. D'altra parte, il polo di Taranto non riesce a rispettare i target di produzioni promessi dall'ad Lucia Morselli. Quest'anno chiuderà l'anno con la produzione più bassa della sua storia (sotto i 4 milioni di tonnellate) e le risorse in cassa sono ampiamente finite. La società non è bancabile, i crediti verso l'indotto aumentano e la credibilità del gruppo - ostaggio del conflitto tra il socio pubblico Invitalia (40%) e quello privato Arcelor Mittal (60%) è ormai quasi compromessa.

Ai soci il governo chiede uno sforzo economico, la ricapitalizzazione necessaria per proseguire e rilanciare l'azienda in ottica green. Ma le parti restano distanti nonostante l'impegno di alcuni ministri sul tema. Il muro contro muro arriva in particolare dal socio privato che pretende che siano le risorse pubbliche a sostenere l'azienda. Nei giorni scorsi, a il Giornale, Bernabè spiegava la necessità di «una ricapitalizzazione per almeno 1 miliardo» come strada maestra per il rilancio paventando, in caso contrario, una nuova amministrazione straordinaria nel futuro di Taranto. O ancora peggio, il lento spegnimento di ogni attività. Da qui, la decisione estrema di rimettere il proprio mandato mentre in queste ore il governo cerca di placare le polemiche. Le delegazioni di Fim, Fiom, Uilm, Uglm e Usb, hanno incontrato ieri a Roma il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, i ministri degli Affari Europei, Raffele Fitto, delle Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso, e del Lavoro, Marina Calderone. Un confronto definito «deludente» dai sindacati che hanno parlato dell'ennesima fumata nera difronte alle mancate risposte sul futuro dell'azienda. È stato così confermato lo sciopero indetto per oggi mentre sono allo studio nuove manifestazioni di protesta. Palazzo Chigi, dal canto suo, «ha ricordato le misure finora adottate per affrontare i numerosi nodi critici della vicenda. Una pesante situazione della quale l'esecutivo si è preso carico fin dal suo insediamento, introducendo, con il decreto legge n. 69/2023, norme per rendere possibile la gestione dell'azienda, per sbloccare le risorse, per chiudere le procedure di infrazione in atto».

E intanto, sullo sfondo, suona come una ulteriore beffa la prima pagina de Les Echos che proprio ieri raccontava la

meravigliosa transizione ecologica in corso a Dunkerque, lo stabilimento produttivo francese di ArcelorMittal dove vecchi e nuovi altiforni convivono ed è addirittura in corso un progetto pilota per la cattura della Co2.

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