La borsa spiegata in modo semplice

Chi non ha mai partecipato al mercato azionario crede che la borsa sia complicata, eppure risponde a poche e semplici regole. Oggi chiunque può investire

La borsa spiegata in modo semplice

Negli ultimi due decenni la borsa ha subito un forte processo di democratizzazione. Se, fino alla fine degli anni Novanta, la borsa era un “luogo” frequentato soltanto da addetti ai lavori con una formazione e un’esperienza specifiche oggi – complici anche i dispositivi mobili e le piattaforme per gli investimenti – ognuno può acquistare e vendere titoli, anche se con obiettivi diversi dagli investitori istituzionali che frequentano la borsa per professione.

Si può obiettare sostenendo che la maggiore facilità con cui si può accedere alla borsa non ne semplifica i funzionamenti. È un’osservazione puntuale ma, a meno che non intervengano fattori esterni imprevedibili, i valori quotati in borsa hanno un andamento prevedibile, anche se potrebbe sembrare un’affermazione forte.

La borsa ha un proprio funzionamento e un proprio lessico. Facciamo un po’ di chiarezza.

Cos’è la borsa

La borsa valori è un mercato finanziario sul quale si scambiano azioni, obbligazioni, materie prime, quote di fondi, valute (anche le criptovalute) ed è regolamentata da enti che la gestiscano e vi vigilano. In Italia questi organi sono Borsa Italiana SpA e Consob (Commissione nazionale per le società e la borsa).

In borsa si incontrano le domande di acquisto e di vendita, da un lato c’è chi vuole comprare titoli e dall’altro c’è chi vuole cederne, il meccanismo che le anima è semplice: chi compra un titolo prevede che possa aumentare il proprio valore e quindi trarne un guadagno, chi lo vende è orientato a credere che il suo valore rimarrà stabile o scenderà.

Quando il prezzo di vendita incontra il favore di chi acquista avviene lo scambio e questo determina la quotazione di un titolo in un determinato momento. A fissare il prezzo di ogni singola contrattazione interviene anche la quantità (il volume) dei titoli scambiati. Se le azioni di un’azienda vengono vendute in massa il loro valore scenderà e, al contrario, salirà. Queste sono le regole elementari della domanda e dell’offerta, tuttavia, quando si parla di borse, subentrano diverse dinamiche, non sempre logiche. A determinare il crollo di un titolo possono collaborare timori infondati riguardo al futuro di un’azienda. Un esempio celebre e recente si è verificato a febbraio del 2020 quando Apple, dopo avere presentato i conti trimestrali non brillantissimi, ha perso il 3% in poche ore. Il 3% non è un crollo irreparabile ma è stata una scossa ingiustificata, scatenata dai conti in lieve flessione e dal Covid 19. Apple oggi è più forte di allora e, nonostante la difficile congiuntura attuale, nessuno teme per il suo futuro.

L’andamento dei titoli è in parte ipotizzabile e prevedibile ma, come visto, possono subentrare molti fattori esterni a scombinare le carte.

Oggi la negoziazione è elettronica e la borsa sta diventando sempre più un “luogo virtuale” mentre, prima dell’avvento di internet, era un luogo fisico nel quale le contrattazioni venivano fatte “urlandole”, in un ambiente caotico.

Gli indici

La borsa italiana ha sede nel palazzo Mezzanotte a Milano, in piazza degli Affari. L’indice principale è chiamato Ftse Mib e include le aziende con la maggiore capitalizzazione, ovvero quelle con il più elevato valore del totale delle azioni. Ci sono indici secondari, panieri organizzati con numeri variabili di aziende scelte secondo diversi principi, per esempio il Ftse Italia Mid Cap che racchiude le 60 società per capitalizzazione che non rientrano nel Ftse Mib ed è un indice che viene aggiornato ogni tre mesi. Oppure, per citarne un altro, esiste l’indice Ftse Italia Small Cap e racchiude i titoli di aziende a bassa capitalizzazione.

In Europa i principali indici sono il Dax30 che racchiude i 30 titoli con maggiore capitalizzazione della borsa di Francoforte, il francese Cac40, l’Ibex35 (Spagna) e l’Ftse-100 del Regno Unito.

Al di là degli Oceani sono molto famosi gli indici Dow Jones, Nasdaq e S&P500 della borsa di New York (il Nyse, ossia New York stock exchange) e, in Asia, gli indici più importanti sono il Nikkei (Tokyo) e l’Hang Seng index (Hsi di Hong Kong). Un indice forse poco noto è il Csi300 che racchiude i titoli delle 300 aziende con il più alto valore di capitalizzazione che sono quotate a Shanghai e a Shenzhen.

Gli intermediari e la trasparenza

Si chiamano intermediari ma anche operatori finanziari quei soggetti che fanno da mediatori sui mercati. Chi vuole investire in borsa si rivolge a loro e, tipicamente, sono banche, società di investimento, promotori o consulenti finanziari.

Ci sono numerose app e piattaforme web mediante le quali comprare e vendere titoli. Sono, di fatto, sistemi di intermediazione virtuali gestiti da soggetti autorizzati a operare sui mercati finanziari.

La trasparenza, in borsa, ha diverse declinazioni. Quando è associata alle aziende quotate, significa che queste devono informare il pubblico, la Consob e Borsa SpA. con assoluta diligenza e chiarezza. Le informazioni che gli emittenti (ovvero le aziende quotate) devono rilasciare sono molte e comprendono, per esempio, scissioni o fusioni aziendali, aumenti di capitale, emissione di nuove azioni, acquisto o vendita di azioni proprie (ovvero quando un’azienda quotata compra o vende azioni dell’azienda stessa) ma anche perdite, utili e variazioni del capitale sociale.

Gli obblighi di trasparenza sono diventati vieppiù stringenti a partire dal 1974, anno durante il quale la legge 216 ha dato una prima stretta di vite per arrivare al decreto legislativo 58/1998 chiamato Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria e che viene aggiornato con le modifiche apportate da nuovi interventi del legislatore.

Anche gli intermediari finanziari devono sottostare a obblighi di trasparenza descritti in diverse norme e, in materia, c’è una nutrita giurisprudenza.

Rischio

Il fatto che le aziende quotate in borsa debbano mostrare tutte le informazioni che le riguardano, il fatto che chi propone investimenti sia obbligato a fare altrettanto e anche il fatto che – in assenza di condizioni esogene – l’andamento di un titolo può essere “previsto” non rende gli investimenti meno rischiosi. Inoltre il concetto di “rischio” è saldamente legato a quello di rendimento, poiché non esistono (o sono rarissimi) investimenti poco rischiosi che offrono rendimenti importanti.

Questo è uno dei motivi che inducono gli investitori a diversificare, ossia a compare azioni o altri prodotti finanziari di diverse aziende in diversi settori, magari cercando

anche un investimento un po’ più rischioso contando sul fatto che i rendimenti degli altri titoli acquistati, pure essendo più contenuti, possano in qualche modo ammortizzare le eventuali perdite conseguite.

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