Cinecittà in caduta libera dopo lo stop al "tax credit"

La società ora batte cassa al Mef per 35 milioni E chiede aiuto a PwC per "aggiustare" la perdita

Cinecittà in caduta libera dopo lo stop al "tax credit"
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Dramma a Cinecittà. Ma questa volta non si tratta di una pellicola in fase di realizzazione nei celeberrimi studios romani di Via Tuscolana. L'icona del cinema italiano, centro nevralgico per produzioni internazionali, si trova oggi sull'orlo di una crisi profonda. Una situazione che si spiega soprattutto con la riforma del tax credit (detta anche legge Franceschini dal nome dell'ex ministro della Cultura), il credito d'imposta che si applica alle produzioni cinematografiche. Ebbene, questa normativa ha consentito a Cinecittà, società controllata dal ministero dell'Economia ma le cui competenze sono vigilate dal ministero della Cultura, di presentare nel 2022 e nel 2023 bilanci deluxe grazie al fatto di essere un'alternativa a basso costo agli studios di Hollywood o ai Pinewood di Londra, penalizzata dalla Brexit. In tre anni i ricavi complessivi sono stati superiori a 115 milioni di euro e gli utili sono ammontati a 4,1 milioni. Insomma, un'azienda con marginalità positiva, guidata dall'ex ad e dg Nicola Maccanico (dimessosi a giugno scorso), che aveva dinanzi a sé prospettive positive. Usare il tempo passato è d'obbligo perché, a dispetto dei bilanci, dalla fine del 2023 Cinecittà si è impantanata in quanto l'annunciata riforma del tax credit (poi realizzata di fatto nella scorsa estate) ha bloccato la normale attività. Prima della riforma, le produzioni potevano beneficiare di incentivi che coprivano fino al 40% dei costi, un'attrattiva irresistibile per le major internazionali. L'attuale norma, invece, prevede un'immediata compensazione del 70% che scende al 40% in caso sia un colosso a farne richiesta. Molto penalizzato, inoltre, il ricorso all'intelligenza artificiale. La condizione di incertezza, protrattasi per oltre un anno, ha reso Cinecittà meno appetibile agli occhi degli investitori internazionali considerato che la concorrenza è agguerrita non solo in Est Europa, ma anche all'Ovest con il Regno Unito sempre in testa. Sicchè, se tutto andrà bene il 2024 si chiuderà con ricavi tra 15 e i 18 milioni di euro più che dimezzati rispetto al 2023. L'attuale management, composto dalla riconfermata presidente Chiara Sbarigia (in quota Lega, in foto) e dall'ad Manuela Cacciamani (in quota FdI), sta pensando a un escamotage non potendo bussare al governo per il ritorno allo status quo ante, avendo l'attuale normativa un'impronta fortemente restrittiva. La soluzione che il cda starebbe valutando, secondo quanto si apprende, è concentrare con l'aiuto dei consulenti di PwC una serie di svalutazioni di attivi e di crediti nel bilancio 2024 (così imputando alla precedente gestione di non essere stata sufficientemente prudente) per accentuare la perdita e poter chiedere un contributo di circa 35 milioni al Mef. Un po' strano rappresentare come un catorcio una società che ha funzionato bene per due anni consecutivi e molto stimata nel mondo delle produzioni.

Ma annunciare oggi una crisi e battere cassa è quasi obbligatorio visto che Cinecittà sta completando i nuovi studios che amplieranno del 60% la capacità produttiva ma che, per via di una scelta legislativa opinabile, rischiano di rimanere inutilizzati. Una cattedrale nel deserto della Tuscolana laddove c'era una fiorente industria, punita da una politica miope che non ha colto l'importanza di un tax credit finalizzato soprattutto ad attrarre investimenti esteri.

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