Così si "esorcizza" la Brexit in Borsa

Meno bund tedeschi e azioni Usa. La liquidità? Nei fondi monetari e conti deposito

Così si "esorcizza" la Brexit in Borsa

Lo spettro Brexit, alimentato dai sondaggi che attribuiscono un vantaggio fino a 10 punti percentuali ai sudditi di sua Maestà che il 23 giugno voteranno per portare la Gran Bretagna fuori dall'Unione Europea, rischiano di mandare in tilt i mercati dopo il tonfo di venerdì (Piazza Affari -3,6%). E non aiuta l'attacco frontale del ministro tedesco Wolfgang Schäuble, che ha avvertito Londra come in caso di Brexit perderebbe di fatto anche l'accesso al mercato unico, senza contare che altri Paesi euroscettici potrebbero seguirla.

Come è meglio muoversi allora in Borsa in attesa del referendum inglese, diventato un test per la tenuta della Ue? Fatta la premessa che un investitore di lungo periodo non dovrebbe inseguire gli alti e bassi dei mercati, la scelta più prudente è ora «parcheggiare» la liquidità in Etf o in fondi monetari euro. Entrambi questi strumenti, sebbene garantiscano rendimenti minimi (circa 0,1% su base annua), sono infatti quasi denaro contante e quindi immediatamente disponibile per re-investire non appena si conoscerà l'esito del referendum. Una seconda opzione consiste nell'usare i conti di deposito proposti dal sistema bancario, che richiedono però un giorno di valuta per rendere disponibile il denaro sul conto corrente. Secondo gli esperti, potrebbe inoltre essere opportuno fare un po' di cassa (portando la quota di liquidità tra il 10 e il 15% del portafoglio), sempre nell'ottica di un suo reimpiego dopo giovedì 23. In particolare, alleggerendo le posizioni in titoli di Stato tedeschi (oggi cari), in titoli dei mercati emergenti (saliti molto da inizio anno), e, con maggiore prudenza, in azioni Usa (che hanno perso molto meno di quelle europee e giapponesi).

Per quanti sono pronti a rischiare molto nel tentativo di spuntare una buona plusvalenza prima delle urne inglesi, esistono altre due opzioni; a patto però di avere la consapevolezza che in caso di una previsione errata le perdite possono essere ingenti. In particolare, chi vuole scommettere che ci sarà la Brexit e quindi il Regno Unito lascerà l'Unione Europea, può sottoscrivere un Etf o un fondo «long» (cioè «rialzista») che punta sul rialzo del franco svizzero e su Etf «short» (cioè «ribassista») che invece specula sul ribasso della sterlina. Al contrario, chi vuole puntare sulla permanenza di Londra può investire su un Etf a leva sull'Eurostoxx.

Diamo ora uno sguardo in prospettiva. Se il 23 giugno prevarrà la Brexit, la volatilità si impennerà e le Borse saranno colpite. Tuttavia, un forte calo delle azioni (in particolare europee e italiane, già oggi penalizzate) potrebbe rappresentare una buona occasione d'acquisto. Così come i titoli high yield europei e, in parte, i titoli dei mercati emergenti i cui fondamentali sono piuttosto solidi. L'oro, si può mantenere in portafoglio (con una quota strutturale del 5%) mentre i titoli di Stato Usa e (soprattutto) tedeschi sarebbero da vendere subito dopo l'esito del referendum in quanto già oggi piuttosto cari.

Se invece i cittadini del Regno Unito confermassero la permanenza nella Ue, la Borsa salirà con un probabile rally delle obbligazioni ad alto rendimento, dei titoli dei Paesi emergenti e delle azioni (soprattutto europee e italiane). In questo caso, sarà però opportuno fissare degli obiettivi di rialzo, raggiunti i quali passare all'incasso.

Per esempio se le azioni in portafoglio salissero più del 15-20%, si potrebbero alleggerire le posizioni e utilizzare la liquidità ottenuta per diversificare il rischio, in un'ottica di medio termine, su asset class non eccessivamente care: dalle obbligazioni legate all'inflazione (Etf inflation linked soprattutto Usa), agli Etf e ai fondi corporate bond euro (che continueranno a beneficiare degli acquisti da parte della Bce), dagli Etf in commodity agricole (massimo un 5% del portafoglio) agli Etf e fondi obbligazionari Paesi emergenti (massimo 5% del totale), dagli Etf e fondi high dividend (sempre non più del 5%) agli Etf e fondi absolute return (che puntano ad un rendimento positivo in qualsiasi contesto di mercato).

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