L'obiettivo è realizzare la prima centrale elettrica da fusione nei primi anni del 2030. Un traguardo ambizioso. Ma è con questo spirito che ieri, vicino a Boston, Eni ha firmato un accordo di partenariato strategico con Commonwealth Fusion Systems (Cfs), spin out del Massachussets Institute of Technology che si occupa della ricerca sull'energia nucleare da confinamento magnetico. Questa tecnologia, attraverso la fusione di due isotopi di idrogeno a oltre 100 milioni di gradi, mira a replicare in una centrale ciò che avviene nel nucleo del Sole e delle stelle e ottenere così enormi quantità di energia. La società guidata da Claudio Descalzi investe sul progetto dal 2018, ma questo nuovo tassello promuove il gruppo italiano da investitore e socio a un ruolo di maggiore coinvolgimento operativo e tecnologico. «
È già più di un sogno», ha detto l'ad di Eni. La fusione avrebbe impatti geopolitici «perché mentre oggi alcuni paesi hanno il petrolio, il gas o il carbone, e altri no, in futuro tutti potranno accedere a questa tecnologia che produce energia a basso costo, così nessun Paese potrà più ricattare gli altri».
L'Eni è stata la prima compagnia energetica a credere nella fusione. Ora però anche il governo Usa ci investe e, per il budget 2024, ha stanziato 1 miliardo di dollari. «Vedremo realizzata la prima centrale elettrica di Cfs basata sulla fusione a confinamento magnetico all'inizio del prossimo decennio», è sicuro Descalzi. «Questo vorrà dire disporre a livello industriale di una tecnologia in grado di fornire grandi quantità di energia senza alcuna emissione di gas serra, prodotta in modo sicuro, pulito e virtualmente inesauribile». Tra i vantaggi anche la mancanza di scorie di processo, ma solo componenti debolmente attivati.
Il Cfs, di cui Eni è l'azionista più consistente con una quota di quasi il 20%, dal 2018 ha già raccolto più di 2 miliardi di dollari di finanziamenti. Ci hanno puntato anche miliardari come Bill Gates e Jeff Bezos. Il round più significativo, da 1,8 miliardi, è arrivato dopo che nel settembre del 2021 il Cfs è riuscito a testare con successo un magnete superconduttivo chiamato Hts, il più potente del suo genere al mondo. I magneti, infatti, giocano un ruolo fondamentale per gestire e confinare nel reattore il plasma, ovvero una miscela di deuterio (ricavato dall'acqua del mare) e trizio (prodotto da una reazione fisica con il litio).
Ora, a più di 50 chilometri da Boston, è in atto la fase due. Di fianco alla sede del Cfs, dove lavorano 450 persone, c'è il cantiere per costruire il primo impianto pilota: lo Sparc, per un investimento da 800 milioni di dollari. Tra circa sei mesi, un reattore di circa 6 metri di diametro e 6 in altezza per la fusione a confinamento magnetico, detto Tokamak, sarà posizionato al centro della struttura. Dal 2025 inizieranno i test. La sfida è riuscire a dimostrare che dalla fusione è possibile ottenere più energia di quanta è necessaria per innescarla. In caso di successo, si passerà alla realizzazione entro un decennio di Arc, la prima centrale industriale da fusione che potrebbe avere una capacità elettrica di 400-500 megawatt.
«L'accordo tra noi ed Eni - ha commentato il ceo di Cfs, Bob Mumgaard - ha il potenziale di far progredire i nostri sforzi sulle opportunità di trasformazione del panorama energetico» e «sottolinea il ruolo chiave che le società energetiche esistenti svolgono nell'accelerare l'industrializzazione dell'energia da fusione».
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