L'euro continua il suo periodo di spolvero e ieri ha toccato i massimi da nove mesi, a quota 1,09 sul dollaro. Se si pensa che a fine settembre era il biglietto verde a valere di più (ci volevano circa 0,96 dollari per un euro), il recupero della moneta unica è stato corposo (+13,5% in circa quattro mesi). Sull'altalena valutaria ha inciso il comportamento di Federal Reserve e Banca centrale europea. L'istituto americano ha iniziato ad alzare i tassi nel gennaio del 2022, per poi accelerare il ritmo a partire da maggio e infilare quattro rialzi da 0,75% tra giugno e novembre. La Bce, invece, si è mossa più tardi, avviando la stretta monetaria solo a partire da luglio. E così gli investitori hanno virato verso gli Stati Uniti, che offrivano rendimenti migliori sui titoli di Stato. Ora, però, la musica è cambiata: la Bce è percepita come più aggressiva sui tassi rispetto alla controparte americana, che invece ha un'inflazione maggiormente sotto controllo. Ed ecco ritornare in auge le attività denominate in euro.
«Prima si credeva che l'Europa fosse più esposta alle conseguenze del conflitto in Ucraina, così l'America attirava più capitali e rafforzava la valuta», è l'analisi di Fabrizio Barini, senior banker di Integrae Sim. «Adesso, invece, i portafogli degli investitori si stanno riposizionando sull'azionario europeo, che dopo le vendite del 2022 è trattato a sconto e viene visto come un'opportunità di acquisto». L'abbassamento del prezzo del gas (che al Ttf di Amsterdam ha toccato la scorsa settimana il minimo di 55 euro al megawattora dopo il picco estivo di 342) ha rafforzato le prospettive circa la crescita del Pil rispetto agli scenari più negativi. «L'economia è in espansione e la guerra viene percepita come in stallo», prosegue Barini, «L'Europa si è dimostrata capace di affrontare la crisi, ha fatto scorte, è stata aiutata dal clima buono e i cittadini hanno tagliato i consumi di gas». Per il 2023 la previsione della Bce è di una recessione lieve nei primi trimestri, con una possibile ripresa nella seconda parte dell'anno. La prospettiva di ulteriori rialzi dei tassi da mezzo punto nelle prossime riunioni, inoltre, verosimilmente alzerà i rendimenti dei titoli di Stato dell'Eurozona. «Crediamo che il trend di rafforzamento dell'euro sul dollaro possa continuare», spiega l'analista di Consultique Scf, Rocco Probo. «Lo spostamento sull'Europa, in uscita dal dollaro, lo si può apprezzare anche dall'andamento positivo dei listini europei nell'ultimo periodo».
Sulla carta, un euro più forte può potenzialmente rendere meno competitive le merci italiane vendute all'estero sul piano del prezzo. Ma per l'Italia ci possono essere anche risvolti positivi, per esempio nella maggiore capacità di acquisto di materie prime come, per esempio, il petrolio: «Il vantaggio sulle importazioni di materie prime si può tradurre in un alleggerimento delle pressioni sulla Bce», aggiunge Probo, «in Europa, infatti, l'inflazione è stata spinta verso l'alto anche a causa del dollaro in ascesa. Un euro in rafforzamento, quindi, potrebbe tradursi in una minore necessità di alzare i tassi e generare più tranquillità sui mercati e per l'economia reale».
C'è però almeno un fattore che potrebbe invertire di nuovo la tendenza, nota Barini: «Se la Fed dovesse essere più falco del previsto portando i tassi fino al 7%, allora si creerebbero occasioni irripetibili negli Usa e le attività in dollari tornerebbero a essere molto appetibili».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.