A poco più di 48 ore dall'incontro clou di Palazzo Chigi, gli azionisti dell'ex Ilva - Arcelor Mittal (62%) e Invitalia (38%) - avrebbero prodotto una bozza preliminare di accordo per analizzare e definire gli aspetti tecnici, finanziari e di governance che porteranno a un concreto intervento che possa garantire la continuità aziendale del gruppo siderurgico.
L'incontro tecnico e preparatorio andato in scena ieri pomeriggio avrebbe prodotto «passi avanti utili», definendo a grandi linee scenari e possibilità di ricapitalizzazione di una lunghissima vertenza che da mesi sta lasciando con il fiato sospeso 10.500 lavoratori e tutto l'indotto.
Tra questi sembrerebbe prevalere una soluzione importante e non un mero intervento tampone, i 320 milioni di cui si era inizialmente parlato per tenere in vita l'llva ancora qualche settimana. L'ipotesi più accreditata è che si possa arrivare a quel miliardo e 300 milioni necessario per il rilancio, passaggio che avverrà con l'acquisto degli impianti e il ritorno alla bancabilità del gruppo. Le modalità sono ancora indefinite, ma l'impegno dello Stato sarà determinante a livello finanziario. Arcelor infatti si avvia verso un graduale disimpegno che porterà probabilmente l'ex Ilva in una società nazionalizzata a tempo. L'ingresso di altri soci è molto probabile, ma ancora lontano: il nuovo azionista privato dovrà avere tutte le competenze necessarie per ristrutturare l'azienda ed essere esente da problemi di sovrapposizione produttiva, pena l'intervento dell'Antitrust nazionale o europea.
Una cosa è certa, Acciaierie d'Italia necessita urgentemente di risorse, soprattutto (ma non solo) a Taranto, dove gli autotrasportatori sono in presidio contro i ritardi nei pagamenti delle fatture e la tregua sul taglio delle forniture di gas non pagato ha una scadenza a breve: il prossimo 10 gennaio.
«In queste ore stiamo assistendo a episodi che ci preoccupano sia dal punto di vista ambientale, sia politico, con il Governo che naviga a vista sul futuro dell'ex Ilva», ha detto il segretario della Uilm, Rocco Palombella. Lo stesso sindacalista ha quindi ribadito che «l'acciaio prodotto a Taranto deve essere considerato ancora un asset strategico per l'intera filiera industriale del nostro Paese, un simbolo del vero made in Italy di cui qualcuno si vanta solo a parole. Se si vuole difendere realmente la siderurgia nazionale, andando contro i tanti veti incrociati che registriamo da tempo, mettendo l'Italia in una condizione di indipendenza produttiva dall'estero, si agisca subito e in maniera netta e definitiva».
E intanto è mistero a Taranto sulla nube rossa prodotta dall'Atoforno 2. Si era parlato di usura dell'impianto, ma ieri in serata Acciaierie d'Italia, senza dare altre spiegazioni, ha smentito possa trattarsi di «un presunto fenomeno di slopping»: il termine che indica le emissioni di fumo nell'atmosfera.
Ipotesi questa espressa dai sindacati alla luce delle «condizioni di usura della bocca della siviera, la caldaia, (o secchione di colata) destinato a ricevere il metallo fuso da forno, e a trasportarlo e versarlo nelle forme».
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