«Cari greci, se i vostri bancomat continuano a darvi degli euro è perché ce li stiamo mettendo noi». Così, senza troppi riguardi, concludeva un «avvertimento» del settimanale tedesco Bild alla vigilia delle elezioni in Grecia, ammonendo contro la vittoria dei partiti anti Ue. Ma se si scoprisse che le regole di austerità previste come condizione per i finanziamenti europei sono state aggirate? Se saltasse fuori che la Grecia ha ingannato l’Europa assumendo 70mila funzionari pubblici quando si era impegnata a ridurne il numero del 20%?
Facciamo un passo indietro e torniamo alla fonte degli euro che riforniscono i bancomat ellenici. In realtà sarebbe più corretto dire che i soldi che stanno tenendo a galla Atene sono assai più italiani che tedeschi. Va infatti ricordato che da una parte le nostre banche avevano un’esposizione minimale verso la Grecia, quindi le procedure di «salvataggio» sono state assai più utili per i creditori tedeschi e francesi che per noi, inoltre l’incertezza sui mercati ha portato il nostro costo di finanziamento al 6% mentre la Germania, vista come «porto sicuro», ottiene denaro praticamente gratis, con interessi nulli.
Il paradosso è quindi che mentre Berlino può prestare al 3% di interesse ad Atene denaro che gli costa zero, guadagnandoci, l’Italia (che è il terzo contributore di tutti i vari «fondi salva Stati» alimentati con le nostre tasse, Imu in primis) ci perde il 3% annuo per ogni euro di finanziamento erogato, anche se i greci dovessero restituire tutto fino all’ultimo centesimo. Il gioco non ci piace e l’abbiamo scritto sin troppe volte, soprattutto per la Grecia stessa, trascinata nella recessione e praticamente costretta a fallire, tuttavia una cosa non possiamo tollerare, vale a dire che si bari pure al gioco che ci è stato imposto nostro malgrado.
Eppure secondo il settimanale To Vima vicino al partito socialista Pasok dell’ex ministro delle finanze Venizelos, pare si sia perpetrata una truffa clamorosa, scoperta dagli emissari della troika (Ue, Fondo Monetario Internazionale e Bce) secondo i quali Atene con una mano tagliava le spese e con l’altra le faceva crescere, assumendo «di nascosto» decine di migliaia di funzionari pubblici in sostituzione dei licenziati. Il gioco sarebbe stato effettuato sfruttando la confusione fra lo Stato e gli enti pubblici locali, con il passaggio dei dipendenti alle municipalità, in occasione delle fusioni e degli accorpamenti degli enti.
Il risultato è stato che mentre sulla carta si presentava la riduzione di 93mila funzionari pubblici in due anni il calo effettivo sarebbe stato solo di 24mila unità, mentre 70mila sarebbero letteralmente «usciti dalla porta e rientrati dalla finestra». A questo punto, se le cose stanno davvero così i conti non tornano: eravamo fra i primi ad auspicare un moto di orgoglio ed un ritorno per la Grecia alla dracma, sia come mezzo per Atene per riconquistare la libertà, sia come strumento per capire, anche a casa nostra, che l’euro era falsamente inteso come un dogma ma che decisioni diverse erano possibili.
Opportunisticamente i greci hanno scelto di dare la maggioranza a quello stesso partito che aveva truccato i conti, ottenendo di mantenere l’euro e al contempo di non rinunciare ai miliardi dei finanziamenti europei (che, come si è detto, paghiamo noi).
Spiacenti ma tutto non si può ottenere: se i greci vogliono continuare a giocare con l’euro lo devono fare secondo le regole, i soldi che usano sono i nostri e dato che nessuno pagherà per noi, troppo grossi per essere «salvati», almeno cerchiamo di non essere fatti doppiamente fessi.
Twitter: @borghi_claudio
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