La guerra Twitter, tutti contro Musk

Bezos lo attacca sulla Cina. La Ue: rispetti le regole. I dem Usa: pericolo. S&P: rating a rischio

La guerra Twitter, tutti contro Musk

Solo contro tutti. Neanche il tempo di festeggiare la presa di Twitter, dopo un assedio durato meno di un mese ma costato 44 miliardi di dollari, ed Elon Musk rischia subito di soffrire della più classica sindrome da accerchiamento. Là fuori si è subito formata una coda di indici puntati contro lo stravagante miliardario spendaccione. Il più affilato è quello della senatrice democratica Elizabeth Warren, pronta a sentenziare che l'acquisizione «è pericolosa per la nostra democrazia. Abbiamo bisogno di una tassa sui ricchi e di regole più stringenti affinché Big Tech sia responsabile». Altrove, soprattutto sui media liberal (da Newsweek a The Independent, fino a Cnet), è tutto un fiorire di manuali pronti all'uso su «come cancellare il tuo account» dal social. Puro odio di classe distillato sotto forma di «do it yuorself» in risposta al «spero che rimangano anche i miei peggiori critici» del patron di Tesla. Odio che rimbalza nei commenti della sinistra mondiale, di cui Carola Rackete è alfiere: «Sto pensando di chiudere l'account».

Storce il naso pure Wall Street, dove Tesla è ruzzolata ieri di quasi il 10% e Twitter è calata di oltre il 3%, mentre c'è non lesina insinuazioni pesanti. Tipo Jeff Bezos: «Forse che il governo cinese ha appena guadagnato un po' di influenza sulla piazza del paese?», ha cinguettano il patron di Amazon. Lasciando così intendere che Pechino potrebbe acquisire influenza su Twitter, al momento oscurata dal cosiddetto Great Firewall, una volta andata in porto l'acquisizione. Il motivo? Semplice: il Dragone è il «secondo mercato più grande di Tesla» dopo quello degli Stati Uniti.

Solite ruggini tra i due Paperoni, rinnovate di recente da un editoriale del Washington Post, di proprietà di Bezos (titolo: «L'investimento di Elon Musk su Twitter potrebbe essere una cattiva notizia per la libertà di parola», con successiva replica al vetriolo di Musk («Quel giornale è sempre buono per farsi una risata»). È un po' un gioco delle parti, tutto sommato innocuo. I pericoli veri potrebbero arrivare da altre direzioni. Non dalla Sec (la Consob Usa), mai tenera (anche a ragione) con il creatore di Space X (che ha contraccambiato con un ruvido «la Sec è una marionetta senza vergogna», visto che Twitter va verso il delisting e diventerà un'azienda privata.

Il primo rischio serio è quello di subire la bocciatura da parte di Standar&Poor's, che ieri ha messo tutti i rating di Twitter sotto esame senza escludere il taglio di svariate tacche. S&P mette l'accento sulle modalità dell'acquisizione, finanziata in parte a debito e in parte con i 21 miliardi che Musk metterà di tasca propria senza dire come saranno reperiti. Ciò comporta «che la leva finanziaria di Twitter aumenti in modo sostanziale al di sopra del limite di 1,5 volte, livello per un downgrade del rating BB+». Stessi timori per Moody's che ha messo sotto osservazione il rating Ba2 di Twitter, puntando il dito contro i debiti e la governance. Poi c'è il caveat di Bruxelles. In base al nuovo regolamento sui servizi digitali (il Dsa) che impone la rimozione tempestiva dei contenuti illegali, l'Ue ricorda come la società «dovrà adattarsi completamente alle regole europee» indipendentemente dagli orientamenti del nuovo azionista in termini di libertà di espressione.

Insomma, Musk è sotto tiro ancor prima che metta in pratica i cambiamenti annunciati per Twitter: «Algoritmi open source per aumentare la fiducia», battaglia allo spam e agli account falsi e inserimento di un bottone di modifica ai messaggi. «Sono per la libertà di parola nell'ambito della legge», ha twittato ieri. Chissà cosa succederà quando, com'è sua abitudine, deciderà di defenestrare l'intero board.

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