I Pir sembrano pronti a ripartire. I Piani individuali di risparmio pensati nel 2016 dal governo Renzi ma entrati in vigore nel 2017 con Gentiloni, sono in grado di offrire incentivi fiscali, sotto forma di detassazione delle plusvalenze, ai sottoscrittori che tengono l'investimento per oltre cinque anni. Con la legge di Bilancio del 2019 sono state apportate alcune modifiche: il legislatore è intervenuto sui vincoli di composizione stabilendo che almeno il 3,5% del piano debba essere investito in titoli quotati su mercati delle pmi (per esempio il listino Aim) e un altro 3,5% su azioni o fondi di venture capital. Il risultato? La rigidità del vincolo e la sua inattuabilità rispetto alle dimensioni dei portafogli ha bloccato i Pir ingessando il meccanismo.
Il risultato? Se nel 2017 avevano raccolto 11 miliardi, e nel 2018 3,49 netti, quest'anno (al 30 settembre) sono in rosso per 717 milioni. «Ragioneremo sui Pir, è uno strumento importante e faremo una valutazione anche rispetto alle recenti modifiche», aveva detto all'inizio di ottobre il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri rispondendo alle sollecitazioni di protagonisti del settore come l'Assogestioni guidata da Tommaso Corcos. Nei giorni scorsi si è poi arrivati a un nuovo testo, molto più in linea con lo spirito iniziale della legge, che sarà inserito nel Dl fiscale. Finirà sui banchi della Camera in prima lettura e poi andrà in Senato. Il via libera è atteso prima di Natale e da gennaio, salvo sorprese dell'ultima ora, le sgr potranno tornare a vendere nuovi Pir. Ma come funziona il nuovo meccanismo? E come si differenzia dall'impianto originario? L'emendamento, cui ha lavorato il vice presidente della Commissione Sestino Giacomoni (Forza Italia, ex private banker di Mediolanum) prevede che il 30% del fondo sia libero di essere investito in base alle decisioni del gestore e del regolamento, mentre almeno il 70% del patrimonio deve andare in strumenti finanziari emessi da imprese italiane o europee (ma con stabile organizzazione in Italia), senza limiti nella grandezza della società. Sparisce il correttivo introdotto circa un anno fa che imponeva che un 3,5% del patrimonio fosse investito anche in quote o azioni di fondi di venture capital o di fondi di fondi per il venture capita. Si prevede inoltre che Casse Previdenziali e fondi di investimento possano detenere più di un Pir nel limite del 10% del patrimonio.
Ma soprattutto, si dispone che almeno il 5 del 70% del valore complessivo del fondo vada alle micro imprese e quindi potrà essere veicolato sull'Aim, il segmento delle aziende più piccole.
Gli analisti di Intermonte hanno calcolato che con il nuovo testo, se passerà senza ulteriori cambiamenti, saranno 267 le società investibili dai fondi Pir di ultima generazione.
Nel complesso gli afflussi netti stimati per il 2020 ammontano al 3,52 miliardi, di cui 3,2 miliardi di nuova raccolta e 989 milioni derivanti dai piani di accumulo dei Pir nati nel 2017. Nel 2021 le attese sono per 4,072 miliardi di afflussi. Con un impatto positivo soprattutto per le quotate su Star e Aim, che hanno registrato performance, da gennaio, inferiori al Ftse Mib.
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