Domanda. Quali sono i cambiamenti più rilevanti che hanno interessato le vostre politiche commerciali negli ultimi anni? Colombi. Ubi Banca private investment è un istituto di credito frutto della fusione di diverse realtà, che nel tempo ha realizzato il completo ampliamento della gamma prodotti. Abbiamo scelto di non dare budget di prodotto alla rete, così da consentire al promotore di svolgere al meglio il suo lavoro. Ci limitiamo a incentivare la nuova raccolta indipendentemente dal tipo di strumento che si colloca. Il nostro cliente è un top affluent, e in media ha da noi circa 150 mila euro di patrimonio. All’interno della nostra banca abbiamo un segmento di clientela gold, dove chi ha almeno 250 mila euro di patrimonio può ricevere ulteriori vantaggi. Abbiamo due aree di business, di promozione finanziaria e di private banking, che si differenziano principalmente per la posizione contrattuale dei professionisti, perché i promotori hanno il contratto di agenzia mentre i private banker sono dipendenti (ma la tipologia di prodotto è pressoché la stessa per entrambi). Negli ultimi mesi del 2011 e a inizio 2012 abbiamo effettuato molta raccolta diretta attraverso la vendita di obbligazioni e conti deposito. In linea generale, siamo una piattaforma aperta, dove il promotore può vendere prodotti di risparmio gestito senza conseguenze negative in termini di minor remunerazione nel caso in cui collochi prodotti di sgr non del gruppo. Certo disponiamo di una sgr di gruppo, Pramerica realizzata con Prudential, con cui c’è uno stretto rapporto commerciale e di assistenza. Tuttavia il 75% del patrimonio in gestito fa riferimento a prodotti di case terze.
Grassi. Negli ultimi anni, le nostre politiche commerciali sono state caratterizzate da tre fenomeni: in primo luogo il potenziamento del multibrand (un processo iniziato nel 2001 e rafforzato prima con un ampliamento della gamma prodotti nel risparmio gestito, poi stipulando nuovi accordi e dando in delega a terzi i prodotti di casa, con l’eccezione della componente obbligazionaria e dei prodotti con protezione del capitale). Il secondo fenomeno è relativo al progresso dei servizi bancari: da una prima fase, nella quale la banca derivava dall’aggregazione di diverse sim, si è poi passati all’incorporazione di strutture bancarie consolidate come Banca Bsi Italia e Banca del Gottardo. E al reclutamento di molti professionisti, favorendo notevoli flussi di masse amministrate. Terzo punto è stato lo sviluppo dei servizi a più alto valore aggiunto. Il 70% dei nostri clienti di segmento medio-alto, imprenditori e liberi professionisti, hanno più di 55 anni e non si sono ancora posti il problema del passaggio generazionale. Su questo tema ci siamo mossi catalizzando specializzazioni intorno alla fiduciaria Generfid, che ha così consentito di rafforzare il livello di fidelizzazione con la clientela di fascia alta di mercato.
Peltretti. I nostri punti fermi sono l’architettura aperta e l’autonomia dei nostri promotori finanziari. L’80% dei nostri asset è in prodotti di risparmio gestito, e l’85% della componente gestita è su prodotti di terzi. In questo ultimo anno e mezzo abbiamo investito molto nella costruzione e nel lancio di piattaforme di consulenza per la clientela più evoluta, a partire dalla unit linked Zed Platform (in partnership con Zurich), passando per il lancio del nostro servizio di consulenza F&F Strategist, per arrivare alla advisory multibrands sicav di Deutsche Bank, con deleghe di gestione affidate a case internazionali selezionate, in base alle loro specifiche expertise. Il nostro lavoro va nella direzione di supportare e valorizzare il lavoro del promotore con piattaforme di consulenza qualitativamente molto «robuste» e allo stesso tempo rispettose della sua autonomia. Martini. Gli obiettivi commerciali seguono il percorso di crescita del gruppo, che si espande anche oltre confine. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo aperto società in Cina (Hong Kong e Shanghai), in Turchia, abbiamo acquistato una società a Montecarlo, due in Svizzera (e ci sono in programma altre aperture internazionali nei prossimi anni). Il nostro obiettivo è cercare nel mondo gestori in grado di portare valore e idee per i nostri clienti in Italia. Abbiamo assunto professionisti in Lussemburgo e a Hong Kong, quattro analisti e quattro gestori, e continueremo su questa strada. Il tutto con il presupposto che sarà sempre il gruppo Azimut a controllare l’intera catena. Crediamo, infatti, che la gestione “in casa” sia un fattore importante sia per i clienti, sia per i nostri promotori. Sui fondi di terzi abbiamo 14 accordi con case d’investimento straniere, e che oggi pesano sul patrimonio gestito per un equivalente di 550 milioni di euro; a questi si aggiungono altri 3,5 miliardi nel multimanager, dove i nostri gestori e analisti girano il mondo alla ricerca di competenze. Questo è necessario perché non si può scaricare sul promotore tutta l’attività e la responsabilità delle scelte.
Marconi. Le nostre politiche commerciali sono influenzate dal mondo-banca. Il 50% dei nostri promotori ha l’ufficio dentro la filiale; di conseguenza, è normale che la politica di prodotto sia influenzata dalla casamadre. Negli scorsi mesi di crisi più acuta, i nostri promotori hanno collocato anche vari prestiti obbligazionari e conti di deposito. Questi prodotti hanno permesso alla rete di difendere le masse e i clienti in momenti molto difficili. Aggiungo che in questo momento, dove i margini sul gestito sono in contrazione, il poter collocare tutti i prodotti bancari ha permesso ai promotori di continuare ad avere un livello di redditività sostenibile dalla loro attività: oggi circa il 30% dei redditi di un nostro promotore derivano da impieghi, mutui, conti correnti. Cioè dal mondo banca. Anche per noi vale il discorso del multibrand nel risparmio gestito: da tre anni collochiamo prodotti di terzi. Inoltre, stiamo puntando molto sui Pac, per consentire ai clienti di entrare in determinati momenti sui mercati e su specifici asset. L’approccio multibrand lo abbiamo esteso di recente al comparto assicurativo dove abbiamo chiuso accordi con Aviva e Skandia.
Incrocci. Un primo importante cambiamento è stato determinato dal passaggio all’euro che, decretando la fine dei rendimenti eccezionali riconosciuti sui titoli di stato, ha spinto molti risparmiatori a rivedere i propri asset ricercando forme d’investimento più sofisticate e remunerative. Questo ha sicuramente aperto alle reti di promozione finanziaria un’ampia fetta di mercato fino ad allora appannaggio esclusivo del canale banca; l’attuale quota, abbondantemente sotto le due cifre, dimostra, però, che quest’opportunità non è stata ben sfruttata. La responsabilità va addebitata al sistema nel suo complesso. L’attuale crisi economica ha modificato i paradigmi di valutazione del risparmio e rivoluzionato il rapporto fra promotore e cliente, enfatizzando la ricerca di forme di personalizzazione sempre più spinte. Nella nostra azienda cerchiamo di generare valore attraverso un modello di offerta che mira a soddisfare tutti i bisogni finanziari della clientela, sia sul fronte della raccolta, sia degli impieghi; inoltre, nell’ambito dei servizi d’investimento, attraverso l’utilizzo di una piattaforma di consulenza avanzata, puntiamo alla costruzione di portafogli altamente personalizzati. D. Come potrà cambiare in futuro la composizione dei ricavi delle società? Secondo voi è plausibile nei prossimi anni che i maggiori introiti derivino dalla consulenza piuttosto che dalla vendita dei prodotti e dalle commissioni di management?
Albanese. Sicuramente, quando parliamo di sistemi di advisory evoluti, parliamo di fee only; il che significa non creare gestioni patrimoniali camuffate, ma costruire portafogli, sulla base delle vere esigenze dei clienti. Prodotti che abbiano all’interno anche titoli governativi, obbligazioni corporate, Etf e non solo risparmio gestito, senza distorsioni legate alla ricchezza dei singoli prodotti. La consulenza a parcella la vedo anche come una opportunità per essere remunerati a 360° sugli asset del cliente. In questo modo, si riesce anche a stabilizzare i ricavi dei promotori, a renderli più indipendenti dalle oscillazioni dei mercati. E il professionista va remunerato adeguatamente: un contratto realmente fee only non può valere meno di 150-190 basis point, ad esempio per un profilo bilanciato, tenendo presente che il 100% delle retrocessioni dalle case prodotto viene restituito al cliente.
Incrocci. Lo spartiacque sarà tra chi continuerà a lavorare in una logica di prodotto e chi invece passerà a un modello di consulenza a 360°. È importante che il cliente abbia un solo interlocutore per tutti i suoi bisogni finanziari, dalla consulenza patrimoniale, all’erogazione, al passaggio generazionale, all’assistenza all‘azienda, alla previdenza. Sul fronte dei ricavi abbiamo alcune aziende che sono focalizzate prevalentemente sulle entry fee; si tratta di una strategia che punta su prodotti con costi di struttura più elevati per il cliente e che sicuramente mal si concilia con la logica della consulenza. Dall’altro lato si registra la svolta del mondo anglosassone verso il modello fee only, che consente di valorizzare il contenuto consulenziale dei servizi d’investimento erogati. Il passaggio, anche nel nostro sistema, a un servizio di consulenza a parcella richiede, però, un forte cambiamento culturale, che coinvolga entrambi gli attori. In un contesto economico complesso come l’attuale, la consulenza di qualità sugli investimenti, intesa come progetto centrato sui bisogni e non sui prodotti, diventa l’approccio strutturato che i clienti pretendono dal proprio promotore. Che dovrà sviluppare le necessarie competenze professionali per dare un reale valore aggiunto, che giustifichi il pagamento del servizio.
Colombi. O il contratto di consulenza finanziaria a pagamento si affermerà sul campo per opportunità fiscali (come per le polizze unit linked) o imposizione normativa (a fini trasparenza), o il suo processo di affermazione sarà lentissimo. I clienti che conoscono davvero le loro esigenze e sono disposti a pagare costi aggiuntivi per vederseli risolvere non sono molti. Il cliente, nel quasi 100% dei casi, oltre a non voler correre rischi intende anche guadagnare più che con titoli di stato. Quando gli investimenti vanno bene, il cliente potrebbe accettare un sacrificio aggiuntivo. Ma nei periodi in cui il portafoglio perde, chiedere il pagamento di una parcella sarebbe un bel problema: in questo caso, infatti, il cliente non pagherà mai la fattura.
Peltretti. Sono convinto che l’advisory rappresenti una reale opportunità per il nostro settore. Noi siamo partiti quest’anno con una piattaforma di consulenza evoluta, coinvolgendo 400 dei nostri migliori professionisti. Un processo di consulenza per consentire al promotore di aggiungere valore alla relazione con il cliente, che è anche time consuming e richiede un forte impegno tecnico e relazionale.
Martini. Dal lato del promotore non è facile percepire le differenze tra le numerose società. C’è il problema di valorizzare le diversità tra gli eterogenei modelli. Sul tema della consulenza sta succedendo quello che 12 anni fa è accaduto a proposito del multimanager. All’epoca c’era bisogno di idee nuove, da utilizzare anche come strumento di marketing nei confronti del cliente. Sulla consulenza sta avvenendo lo stesso: che non funzioni è un dato di fatto. Se l’advice va fatta, dovrà essere a parcella e pura, perchè ogni modello misto crea confusione. I clienti non sono pronti a recepire questo passaggio. Per i promotori finanziari c’è un problema di competenze maggiori da acquisire, oltre che di mentalità. C’è poi da vedere se gli azionisti sono pronti a puntare sulla consulenza. E questo vale ancora di più per le società quotate, sottoposte alle valutazioni continue di mercato e analisti. Grassi. Quando si opera in un settore che deve fornire servizi a valore aggiunto con una consulenza specializzata, l’importante è focalizzarsi sulla qualità verso la clientela. Fatta questa premessa, credo che l’evoluzione dei mercati e il contesto regolamentare agiscano come variabili importanti nel plasmare le dinamiche di ricavi delle società. Si parla molto del modello britannico di consulenza a pagamento, ma a oggi le stesse autorità europee non nascondono alcuni nodi da sciogliere a riguardo. Crediamo che, con un modello multibrand trasparente e senza conflitti di interesse, si espleti di fatto il concetto di indipendenza. Per non parlare dei vantaggi, in termini di controlli, sicurezza, formazione e solidità che solo una realtà dalla reputazione consolidata è in grado di garantire al cliente e al professionista. Detto questo, ci sarà sicuramente spazio di evoluzione anche per dinamiche strettamente consulenziali. A questo riguardo abbiamo sviluppato in partnership con Morningstar Bg advisory, servizio destinato a una categoria di clienti dalle esigenze complesse, che necessitano un supporto nell’analisi e costruzione dei loro portafogli, anche su banche terze.
Marconi. La percezione del valore è il punto cruciale. La consulenza decolla se si riesce a farla pagare e farne percepire un reale valore. Il cliente dove percepisce il valore? Deve capire che con la consulenza può guadagnare di più e controllare il rischio definito per il suo portafoglio. Se il servizio si applica davvero a tutti, se dimostriamo che i portafogli modello sono più efficienti, allora il modello potrà decollare. Poi è necessario un cambiamento culturale del promotore. La mia impressione è che in alcuni pf sia forte la paura che la consulenza «spersonalizzi» il rapporto con il cliente: si teme che l’interlocutore primario possa diventare la banca. In realtà non è assolutamente così, perché senza un ruolo attivo del promotore il servizio non funziona, visto che la consulenza va personalizzata sul singolo cliente.
D. Quale spazio di mercato può avere ancora il promotore in un contesto così difficile per il mondo degli investimenti come l’attuale?
Colombi. Noi facciamo indagini periodiche di customer satisfaction all’interno della banca su un campione di oltre 1.000 clienti intervistati e i risultati sono molto buoni. La soddisfazione del cliente dei promotori è di gran lunga maggiore rispetto a quella nella banca tradizionale. Come si spiega? Se si vanno a vedere i risultati del portafoglio titoli da una parte o dall’altra, ci si accorge che a fare la differenza sono le capacità del professionista nel valorizzare la relazione con il risparmiatore. E questo spiega perché molto spesso il promotore, quando decide di cambiare società, porta con sé il cliente.
Albanese. Se non andiamo verso una strada di trasparenza che assicuri un’effettiva partnership tra banca, cliente e promotore, il settore rimarrà sempre ancorato al 6% del mercato. Il nostro modello web based, che dà al cliente un servizio low cost sulla parte transazionale e di alto profilo in termini di consulenza sugli investimenti, mi sembra la direzione giusta.
Grassi. Intravediamo enormi opportunità per i promotori in un momento in cui sta diventando sempre più evidente il valore aggiunto che questi sanno apportare ai risparmiatori. Infatti, la crisi delle banche commerciali e le pressioni congiunturali hanno evidenziato l’importanza di un servizio specializzato nella pianificazione finanziaria. Noi cresciamo di oltre 1.000 nuovi clienti al mese. Cifre che sembrano piccole, ma sono sintomatiche dello stato d’animo di molti risparmiatori, insoddisfatti del servizio che ricevono dal proprio istituto, e desiderosi di ricevere una risposta più efficace alle proprie esigenze. Certamente non mancano le problematiche anche per la professione, che richiede esperienza, impegno formativo e supporto a 360° dalla propria azienda per fornire un eccellente servizio al cliente; sotto un certo livello di masse, per alcune reti diventa difficile sostenere le dinamiche di mercato in modo competitivo, e lo stesso accade per i promotori con portafogli marginali.
Incrocci. Una recente ricerca sull’osservatorio delle famiglie di Gfk Eurisko rivela che nel prossimo futuro crescerà la quota di mercato dei promotori. In un contesto di forte incertezza come quello attuale, il promotore ha dimostrato di riuscire a controllare i comportamenti dettati dall’emotività, contenendo le spinte immotivate dei clienti verso il disinvestimento. Nonostante la riconosciuta centralità del ruolo del promotore, assistiamo da anni a una progressiva riduzione del numero degli iscritti all’albo; da questo punto di vista, è opportuna una maggiore attenzione da parte delle istituzioni, eventualmente rivedendo le norme che regolano l’accesso alla professione, ma anche da parte delle aziende del settore, attraverso adeguati investimenti sui giovani.
D. Uno dei temi forti è l’invecchiamento della categoria e la difficoltà di attuare il ricambio generazionale. Perché il settore non investe sui giovani?
Marconi. Abbiamo provato a investire su progetti per neofiti come il Credemlab. Il problema è che un esordiente ci mette diversi anni per andare a breakeven; quando si sono formati promotori con un bel portafoglio c’è il rischio concreto che questi possano spostarsi su altre reti visto il forte turnover del nostro settore, vanificando gli investimenti effettuati. Così, oggi, un operatore è disincentivato a investire sulle nuove generazioni. La soluzione deve essere in qualche modo una salvaguardia, a livello di settore, degli investimenti che le reti effettuano sui nuovi promotori inseriti.
Martini. Oggi un giovane bravo che si laurea in Bocconi non ha certo il sogno di diventare promotore. Noi abbiamo costruito un percorso per agevolare il passaggio generazionale, con un processo formativo che dura più di un anno: in particolare, il progetto New generation per Azimut consulenza e La Cantera per Az Investimenti sono le due iniziative destinate al mondo dei giovani.
Peltretti. Da tre anni stiamo crescendo al ritmo di oltre 200 professionisti all’anno, e senza un progetto neofiti non sarebbe stato possibile. Noi quindi stiamo investendo anche su questo fronte. Cruciali, per noi, sono le attività di formazione, di affiancamento sul campo e di coaching che affidiamo ai nostri supervisor e group manager.
Incrocci. Il ricambio generazionale e l’accesso alla professione sono temi strategici per il futuro della nostra professione: attualmente meno del 3% degli operatori è under 30. Negli anni Novanta, l’accesso alla professione si concretizzava con il praticantato; questa modalità dovrebbe essere recuperata, innovata e inserita nel contesto attuale, trasformandola in una sorta di tirocinio. Chiaramente questo percorso dovrà essere sostenuto sia dal singolo promotore sia dalla mandante, sulla quale impatterà dal punto di vista economico. Affiancare un neofita per condurlo all’incontro con il cliente è un percorso molto difficile e faticoso, richiede un enorme dispendio di tempo. Puntare sui giovani significa quindi disporre di supervisori che supportino concretamente questa scelta.
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