Unimpresa parla di «tempesta perfetta sul credito bancario» scatenata dalla «scellerata politica monetaria» della Bce. Difficile darle torto, numeri alla mano. Sono queste le cifre che certificano come i ripetuti rialzi dei tassi abbiano azzoppato la richiesta di prestiti: nell'ultimo anno, 57 miliardi di euro in meno (-8%) alla voce «finanziamenti alle aziende»; saldo negativo di sette miliardi per le famiglie, con i mutui fermi e i prestiti personali crollati di oltre 13 miliardi. Una volta c'era un vetro a separare i clienti dai bancari: ora c'è un muro che ha portato a una stretta creditizia da 64 miliardi. E c'è anche il disagio crescente di chi, con l'impazzimento del costo del denaro, non ce la fa più a onorare le rate. Così le sofferenze, antico tallone d'Achille di buona parte dei nostri istituti, sono cresciute in 12 mesi di quasi il 10%, passando da 16 miliardi a quasi 18 miliardi, con un +25% solo nei primi nove mesi del 2023.
Il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora, va giù con l'accetta: «È un conto che stanno pagando i cittadini e le imprese, perché le banche, proprio grazie all'aumento dei tassi, macinano utili come mai». E se il cavallo non beve, cioè imprese e famiglie non chiedono prestiti, è perché «l'acqua è inaccessibile. O, peggio, avvelenata».
Il problema è che la Bce continuerà a render l'acqua sempre più tossica. Il suo vicepresidente, Luis de Guindos, ha detto ieri che «un ulteriore inasprimento è ancora in cantiere». È la solita ricetta distruttiva, applicata allora da Mario Monti per mezzo di una politica fiscale all'insegna dell'austerità, e ora da Francoforte con le leve monetarie. E contro comportamenti eterodossi, c'è lo spread a far da cane da guardia.
De Guindos non poteva essere più chiaro: «Costi di finanziamento più elevati e politiche fiscali meno prudenti potrebbero riaccendere le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito sovrano, in particolare nei Paesi in cui i livelli di debito sono già elevati».
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