Nel Belpaese il sistema educativo e formativo soffre di un mito che confina con il luogo comune: per ragazze e ragazzi il percorso scolastico più efficace passa esclusivamente dalla frequentazione dei licei. Nei più diversi indirizzi, ma pur sempre licei. Una certa mala politica, poco attenta a cogliere i segnali che invia la realtà, ci mette la propria per continuare ad alimentare tale stortura. Perché, a ben vedere, di stortura si tratta. L'Italia sta pagando il progressivo disinteresse, culturale e insieme di investimenti, verso gli istituti tecnici e professionali. Ritenuti, a torto, ambiti scolastici da prendere in considerazione solo come estrema ratio per la crescita umana e formativa dei figli. Nulla più che un ripiego, insomma. E per molte famiglie, una scelta dolorosa, con il sapore della sconfitta. Tale percezione è attribuibile, per l'appunto, all'olone di mitologia che ancora avvolge il liceo. Eppure, il presente dovrebbe suggerire altro.
Il mercato del lavoro, proprio a causa di questa visione distorta delle cose, ne patisce enormemente. Manca capitale umano fortemente motivato e specializzato. Un danno evidente per il nostro sistema produttivo specie in un momento in cui la competizione, soprattutto a livello internazionale, ha alzato e di molto l'asticella. L'argomento è spinoso, non proprio da campagna elettorale. Ma proprio perché spinoso va affrontato con urgenza e lungimiranza.
Occorre tornare ad investire con oculatezza sull'educazione e sulla formazione delle nostre giovani e dei nostri giovani.
Presentando alle famiglie una proposta ampia e di qualità che contribuisca a ridurre, se non proprio ad eliminare (i tarli culturali sono duri da vincere), la convinzione che vi siano indirizzi scolastici di serie A e di serie B. Il Paese non può permettersi di perseverare, se non addirittura coltivare, in questo equivoco. Specie in un'Italia che, non dimentichiamolo mai, si regge sulle piccole e medie imprese.
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