Quel gran falò della vacuità che è da sempre il World Economic Forum di Davos (da domani fino a venerdì prossimo) sarà quest'anno per gran parte spento. Con la sola eccezione del Cancelliere tedesco Olaf Scholz, all'appello mancheranno infatti tutti i leader del G-7. Le urgenze sono altre, e dirimenti rispetto alla tentazione di pavoneggiarsi mentre si sfila sul red carpet dell'élite finanziaria globale. Giusto per far tre nomi, Giorgia Meloni è alle prese con le accise e con i malumori legati alla riforma della giustizia; in patria, Joe Biden deve rintuzzare gli attacchi dell'opposizione dopo le carte segrete ritrovate nel suo garage; agli inguaiati sudditi della Corona, il premier britannico Rishi Sunak deve ancora farsi perdonare l'algido aplomb da Isee milionaria (patrimonio pari a 730 milioni di sterline).
Eppure, forse mai come quest'anno, mentre sull'economia mondiale aleggia una nube fantozziana che raggruma alta inflazione e recessione incombente, avrebbe avuto un senso ascoltare il punto di vista di chi ci governa. Ci si dovrà invece probabilmente accontentare di Christine Lagarde, custode del tempio monetario dell'eurozona, e delle sue parole ormai scontate sulla necessità di alzare ancora i tassi per sconfiggere il carovita.
Attesi a Davos anche la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, il commissario per gli Affari economici Paolo Gentiloni e la numero uno del Fmi, Kristalina Georgieva.
Di fatto, perfino i padroni di casa del simposio fra le montagne svizzere hanno smesso di centrifugare il vuoto pneumatico delle passate edizioni. Scegliendo uno slogan che è già di per sé un'esortazione: «Cooperazione in un mondo frammentato». Cicero pro domo sua: la frammentazione è sabbia negli ingranaggi del «business as usual». Ben lo sanno i vertici, tutti presenti, di Amazon, Intel, Blackrock, JP Morgan, Eni ed Enel. A tutti giova un cambiamento dello spartito attuale, così denso di insidie e di rischi. Anche se i pericoli per l'economia vengono nascosti dietro a un paravento: «Se i governi gestiscono male l'attuale crisi - ha spiegato a Bloomberg Saadia Zahidi, ad del Wef - rischiano di creare disagio sociale a un livello senza precedenti, poiché gli investimenti nella salute, nell'istruzione e nello sviluppo economico scompaiono, erodendo ulteriormente la coesione sociale». In tempi in cui la guerra in Ucraina ha imposto un'escalation degli esborsi per le armi, dal Wef arriva inoltre un caveat: «L'aumento delle spese militari potrebbe ridurre il sostegno alle famiglie vulnerabili», lasciando alcuni Paesi in un «perpetuo stato di crisi» e frenando l'urgente necessità di affrontare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Lo scenario peggiore che potrebbe profilarsi è quindi quello di una «guerra geo-economica» destinata a esacerbare le tensioni, oppure il manifestarsi di un nuovo evento choc che «potrebbe diventare ingestibile» e ritardare la lotta al cambiamento climatico. Le prospettive per i mesi a venire non sono delle migliori. Il Global Risks Report annuale del Wef, basato su un sondaggio del Forum, ha mostrato che la minaccia di recessione, la crisi del costo della vita e la crescita dell'indebitamento domineranno le prospettive per i prossimi due anni.
Posizioni che sembrano riflettere le crescenti preoccupazioni per un atterraggio duro dell'economia mondiale. Un salto nel vuoto provocato anche dalla spinta data dalle banche centrali attraverso un ciclo di aumento dei tassi non ancora concluso. La speranza, lì a Davos, è che la palla di neve non si trasformi in valanga.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.