Intesa Sanpaolo batte le stime di consenso, raggiunge nei nove mesi i 4 miliardi di utile netto previsti sull'intero 2021 (con una crescita del 28,7% al netto dell'operazione Ubi) e prevede per il 2022 un profitto di almeno 5 miliardi. Ma in Piazza Affari il titolo chiude la seduta in calo dello 0,4% a 2,5 euro. Alcuni operatori di mercato nell'immediato hanno azzardato l'assenza, per così dire, dei fuochi di artificio, mentre l'ad Carlo Messina, nel corso della conference call seguita alla pubblicazione dei dati, ha ricondotto la performance a un normale ripiegamento dopo i rialzi registrati negli ultimi giorni (il titolo sta guadagnando il 31% da inizio anno). Per maggiori indicazioni strategiche, il manager ha poi dato appuntamento al nuovo piano industriale che sarà presentato a febbraio e sarà «stand alone».
«Stiamo preparando il nuovo piano di impresa, focalizzato sulla sostenibilità del business e sulla retribuzione degli azionisti, per rafforzare la posizione della banca in Europa. Affiancheremo famiglie e le imprese, per fare la differenza e sostenere la crescita del Paese in quella che, grazie al Pnrr, rappresenta un'occasione unica per l'Italia. Tanto più che siamo, di fatto, una proxy sull'Italia visto che custodiamo i risparmi dei cittadini, finanziamo le aziende e investiamo in titoli di debito pubblico», ha sostenuto Messina. Per raggiungere simili obiettivi, l'ad di Ca' de Sass si propone di «entrare nel nuovo piano senza problemi legati al costo del rischio e ai crediti deteriorati (il complesso dei crediti deteriorati ammonta a 9,1 miliardi in caldo del 14,9% rispetto a dicembre ndr)» e, per questo valuta possibili operazioni da effettuarsi nel quarto trimestre.
Per il prossimo futuro poi non è previsto alcun «M&A transformational, cioè capace di cambiare radicalmente il perimetro della banca», neppure per quanto riguarda il wealth management dove, a giudizio di Messina, «il potenziale interno da sviluppare è ancora elevato» e, in ogni caso, «la difficoltà di fare deal rende di fatto impossibile la crescita per linee esterne».
Per quanto invece riguarda l'M&A italiano il banchiere ritiene corretta la revisione al ribasso, «a un livello di ragionevolezza», dei vantaggi fiscali (Dta) previsti dallo Stato per invogliare le nozze tra operatori. «Credo sia giusto fissare un limite», ha evidenziato Messina ricordando come l'integrazione con Ubi sia avvenuta «senza che nessuno ci regalasse nulla». Quanto al nodo Mps, dopo lo stop delle trattative con Unicredit, «credo ci sarà un terzo polo in mani pubbliche. È lo scenario più probabile. Bisognerà vedere se le altre banche avranno ricomposizioni fra loro con operazioni di mercato».
Tornando alla trimestrale, tra luglio e settembre Intesa ha registrato un utile netto di 983 milioni (rispetto ai 798 milioni stimati dagli analisti), 5,09 miliardi di ricavi (-1,8% sul 2020) con 1,99 miliardi di interessi (-6,1%) e 2,32 miliardi di commissioni nette (+6,5%). Quanto alla solidità patrimoniale, il Cet1 pro forma è al 15,1 per cento. È stato infine deliberato, come previsto, un acconto sul dividendo da 1,4 miliardi (0,0721 euro per azione) che sarà pagato il 24 novembre.
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