L'aria di casa ha fatto bene a Luca De Meo, numero uno di Renault e da inizio anno presidente dell'Associazione dei costruttori europei di auto (Acea). Il top manager, per anni «pupillo» in Fiat dello scomparso Sergio Marchionne, ha infatti colto l'occasione per togliersi qualche macigno dalle scarpe. Frasi pesanti, le sue, a proposito del modo con cui a Bruxelles viene gestito il futuro del settore: l'imposizione, senza se e senza ma, del «tutto elettrico» dal 2035. Da De Meo, dunque, accuse precise all'indirizzo della Commissione Ue («A Bruxelles c'è un gruppo di estremisti dell'elettrico che non si rende conto - o non vuole farlo - di quanto il futuro sia complesso»), ma anche un'ammissione di colpa sull'operato proprio di Acea («ha mancato di coraggio nel comunicare le alternative all'elettrico e nello spiegare come gli e-fuels, ad esempio, potrebbero da subito essere disponibili»). Insomma, affermazioni che, ancora una volta, fanno capire come chi lo ha preceduto al vertice di Acea non abbia avuto la forza, la volontà o il coraggio di prendere una posizione decisa nei confronti dell'iter ideologico avviato da quel Frans Timmmermans, vicepresidente della Commissione Ue con delega al clima, che di recente ha comunicato di candidarsi a premier in Olanda con tanti saluti a tutti. Un'uscita di scena che, fiutata l'aria, sa tanto di mossa alla Ponzio Pilato. A tagliare la testa al toro, ci ha pensato Carlos Tavares, memore della sua esperienza al vertice di Acea nel 2018, che ha portato fuori Stellantis dall'associazione: «Se l'Ue non ascolta, Acea non ci serve». Meglio far da sé, dunque. Da qui la nascita di «Freedom of Mobility Forum».
E qui entra in scena ancora un carichissimo De Meo, il quale sottolinea come i decisori europei «non devono limitarsi alla foto del futuro, ma guardare il video: solo così si capisce il percorso che le nuove tecnologie dovranno compiere nei prossimi anni». Tutte affermazioni che sui social hanno aperto un acceso dibattito. Ecco, per esempio, la reazione di Andrea Taschini, manager automotive: «È un passo importante la presa d'atto pubblica di De Meo. Evidenzia, infatti, il grande pericolo che il comparto automotive del nostro Continente sta correndo con l'imposizione dell'auto elettrica. L'establishment industriale ha per troppo tempo e inspiegabilmente taciuto di fronte a evidenti e insormontabili difficoltà nel competere con la Cina».
Già, la Cina, il cui attacco all'Europa è in pieno corso. E anche sul Dragone non è mancata la sottolineatura del presidente di Acea: «Pechino fa la parte del leone sul mercato mondiale delle auto elettriche perché terre rare, cobalto e altri elementi necessari per la costruzione delle batterie sono nelle sue mani», nota indirizzata sempre all'Ue che solo ora sembrerebbe accorgersi dello stato dell'arte. E ancora: «Anche i costi di produzione dell'energia sono diversi perché in Europa gli standard devono essere ecocompatibili, mentre in Cina si utilizza ancora il carbone, non ci sono limiti di inquinamento e il costo del lavoro è inferiore». Risultato? Almeno da noi, «l'auto elettrica è una rivoluzione per i ricchi».
Ecco allora De Meo orientarsi sullo spostamento dal 2035 al 2040 dell'addio ai motori termici: «Questo - puntualizza - consentirebbe di far crescere ancora il mercato dell'elettrico. E se poi ci sarà un riconoscimento della neutralità tecnologica, ancora meglio». I costruttori, in questi ultimi anni e con atteggiamento passivo, hanno riversato miliardi su miliardi nell'elettrico. La politica, intanto, grazie anche al pressing italiano, ha ottenuto l'ok di «CO2 neutral» anche per i bio-fuels. Nel 2024 ci sarà il rinnovo dell'Europarlamento e i giochi potrebbero riaprirsi.
Vero, come precisa De Meo, che «la strada elettrica ormai è segnata». Ma un «piano B allargato», vista la situazione di incertezza, sarebbe consigliabile averlo. Del resto, è sempre il mercato, nelle sue diversità, ad avere l'ultima parola.
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