Il giorno da cerchiare sul calendario è domenica 26 marzo. In quel week end si decideranno i nomi di chi guiderà per i prossimi tre anni le grandi aziende a controllo pubblico quotate in Borsa: Eni, Enel, Poste, Terna, Leonardo, Enav e Mps. Per ogni cda la lista di presidente, Ad e consiglieri preparata da Mef e Cdp, va depositata in società entro 25 giorni dall'assemblea dei soci e resa pubblica entro 21 giorni. La prassi vuole che a dettare i tempi sia la prima delle società che convoca l'assemblea e il Monte l'ha fissata per il 20 aprile. Quindi tutte le liste verranno chiuse entro il 26 e rese pubbliche entro il 31 marzo.
La partita è però già iniziata e ieri il clima lo ha scaldato la Lega: «L'Italia deve mostrarsi all'altezza delle sfide più delicate, a partire dalla politica energetica». E di conseguenza «le grandi aziende di Stato come Eni ed Enel devono cambiare profondamente le loro politiche e il loro approccio alla modernità. Serve un cambio di passo». Un'uscita che segue un'analoga dichiarazione di Salvini di 40 giorni fa quando, abbinando Enel a Telecom, il vicepremier parlò di «situazioni critiche che dovranno essere assolutamente attenzionate». Adesso, però si è aggiunta Eni: un carico pesantissimo perché parliamo della società che negli ultimi 12 mesi, con i suoi accordi in Africa e Asia, ha garantito al Paese la disponibilità di gas necessaria a superare la crisi energetica e a costruire la futura indipendenza dal gas russo. Il suo top manager, Claudio Descalzi, ha fatto visita a vari capi di Stato, al fianco di Draghi prima, e di Meloni adesso, preparando il terreno per queste intese.
Per questo l'uscita della Lega, avvenuta tra l'altro con la premier assente per la missione in Ucraina, va letta come un messaggio politico, indirizzato a Meloni stessa: a indispettire Salvini non sono gli uomini, bensì il metodo che la premier sembra voler seguire. Quello di decidere tutto lei, salvo poi presentare i manager come scelte della coalizione. Ma non è così, ci fa capire Salvini. La cui posizione sul metodo risulta condivisa anche da Forza Italia, già però sovraesposta sul Superbonus e che per questo lascia al momento alla Lega il fronte delle nomine.
Quello che i partner chiedono a Meloni è una reale condivisione del pacchetto dei sette manager d'oro, con un criterio di equilibrio e proporzione rispetto poi alle presidenze, ai cda e alle altre partecipate minori e non quotate: il tutto, tra questa e la primavera del 2024, sono 135 le società con i vertici in scadenza.
Più nello specifico, sulla base delle voci di corridoio, la Lega contesta che la conferma di Descalzi all'Eni e Matteo Del Fante alle Poste, insieme con il cambio della guardia a Enel (dove c'è Francesco Starace) e Leonardo (Alessandro Profumo) con manager apprezzati dai Fratelli d'Italia come Stefano Donnarumma e Lorenzo Mariani, non può passare per un pacchetto già confezionato.
«Se la premier conferma Descalzi è ottimo, ma è una sua scelta, non di tutta la coalizione» è la sintesi del ragionamento. Quindi gli Ad, è la conclusione, «o li decidiamo tutti insieme, oppure ognuno indicherà i suoi».
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