Il petrolio rischia di ritagliarsi di nuovo un ruolo di primo piano nel duello contro l'inflazione. La decisione a sorpresa con cui, domenica scorsa, l'Opec+ ha deciso di tagliare la produzione di 1,1 milioni di barili al giorno, può infatti essere l'innesco per un nuovo surriscaldamento dei prezzi. Soprattutto se le quotazioni del barile, in forte risalita ieri (+6% il Brent, a 84,7 dollari; +6,3% il Wti, a 80,3 dollari), dovessero tornare vicine a quota 100 dollari. Considerato verosimile dagli analisti, lo scenario incorpora anche possibili ricadute sulla conduzione della politica monetaria da parte delle banche centrali. Ovviamente in chiave restrittiva.
Quando, superati i picchi inflazionistici raggiunti lo scorso novembre, si cominciava a ragionare sull'opportunità di attenuare le strette sui tassi (come fatto dalla Fed), se non addirittura di fermarle, ecco la mossa con cui il Cartello petrolifero nel format allargato alla Russia spariglia le carte. Motivato con le flessioni attorno al 5% subite dai corsi del greggio (un asset volatile che ha risentito delle forti tensioni sui titoli bancari), il taglio dell'output ha in prima battuta una valenza politica. Allarga la faglia già apertasi fra Stati Uniti e Arabia Saudita (che si fa carico di una sforbiciata di 500mila barili) dopo la scelta della fine dello scorso anno di sottrarre al mercato due milioni di barili al giorno. Allora, erano andate a vuoto le pressioni esercitate da Joe Biden sul principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, tese a bloccare il contenimento produttivo. Senza troppi giri di parole, Washington aveva quindi accusato Ryad di usare l'oro nero come un'arma e di essersi legata a filo doppio con Mosca. La sintonia fra i due Paesi pare peraltro confermata dalla decisione della Russia di prolungare fino alla fine dell'anno il taglio di 500mila barili al giorno. Così, mentre negli Usa già salgono di tono le voci di chi vuole trascinare i Signori del greggio davanti all'Antitrust statunitense, la Casa Bianca torna a puntare il dito contro il Cartello: «Crediamo che i tagli alla produzione del petrolio si possano evitare in questo momento di crisi e lo abbiamo fatto sapere».
La partita più delicata è però quella che si gioca sul campo della politica monetaria. Alla prese con una crisi bancaria che ha travolto Silicon Valley Bank e scosso la fiducia dei depositanti, la Fed di Jerome Powell ha in questo momento assoluto bisogno di pilotare i tassi verso il basso per cercare di tamponare la fuga dei correntisti dagli istituti regionali ed evitare un atterraggio duro dell'economia. James Bullard (Fed di ST. Louis) ha ammesso ieri che la mossa dell'Opec+ rende «un po' più difficile il lavoro» di Eccles Building, ma resta ancora tutto da verificare se l'incremento delle quotazioni del greggio perdurerà fino a tornare, come nell'ultimo anno, il principale responsabile del rincaro dei prezzi. Di sicuro, il minor output Opec è destinato a tenere sul chi vive i falchi della Bce, pur tenendo conto del fatto che l'Eurotower (come le altre banche centrali) modella le proprie scelte sulla base dell'inflazione core, quella al netto di energia e alimentari.
Il mercato scommette su un rialzo di altri 60 punti base dei tassi entro dicembre, ma un giro di vite di un altro 0,50% come misura preventiva resta ora più che mai sul tavolo del board in vista della riunione di maggio.
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