Il Lusso supera il pre-Covid grazie al motore "esclusività"

Prezzi e conti in salita per i big, Hermès mantiene il tetto alla produzione e Gucci rivede la distribuzione

Il Lusso supera il pre-Covid grazie al motore "esclusività"

La febbre da lusso ha cancellato nel giro di una manciata di mesi gli effetti del lockdown, dribblando la fiammata dell'inflazione e i rincari in bolletta. Variabili a cui i giganti del settore, a cominciare da Lvmh, hanno infatti già risposto ritoccando all'insù i propri listini. I «paperoni» del Pianeta non hanno avuto problemi a mettere mano al portafoglio per comprare borse, scarpe e gioielli. Lo dimostrano i bilanci boom delle maison tornate, con poche eccezioni, ben sopra i livelli del 2019. E il trend, secondo quanto emerso nel corso delle presentazioni, è destinato a durare. In questo «party» post pandemico il rischio di vedere spuntare ovunque gli stessi loghi è dietro l'angolo. Ma è il desiderio inaccessibile ai più a rendere il lusso tale e, per costruirlo, le strategie dei gruppi sono diverse.

Venerdì scorso Hermes, a un mercato attonito davanti a ricavi leggermente inferiori alle stime malgrado le chilometriche liste di attesa per acquistare una borsa Kelly o una Birkin, ha spiegato di non aver alcuna intenzione di aumentare la produzione oltre a quanto previsto, ovvero il 7-8% l'anno. L'icona del lusso, che in Borsa vale 49 volte gli utili attesi sul 2022 (rispetto alle 26 volte di Lvmh e alle 40 della Ferrari), ha chiuso il 2021 con un giro d'affari di oltre 9 miliardi, in crescita del 41% sul 2020 e del 33% sul 2019, e un utile netto di 2,44 miliardi (dagli 1,38 miliardi dell'anno prima). Tutto questo, tuttavia, non è bastato al mercato che ha affossato il titolo in Borsa. «Per creare una borsa Hermès ci vogliono 15 ore e, anche se c'è molta richiesta, non intendo farla in 13 ore per aumentare la produzione», ha commentato Axel Dumas, presidente esecutivo della maison fondata a Parigi nel 1837. Un approccio che si è finora dimostrato vincente nel tempo. Le aste mostrano che una Birkin si apprezza molto di più della stragrande maggioranza degli strumenti finanziari in circolazione (i siti specializzati, come Baghunter, parlano di una media del 5-10% annuo), ma meno del titolo Hermès che, in cinque anni, ha più che raddoppiato la propria valutazione (+122%) e dal 2000 a oggi è passato da 45 a 1.203 euro.

Le quote di produzione e gli stringenti vincoli di distribuzione non sono certo nuovi nel lusso. La stessa Chanel le ha avrebbe introdotte su alcuni modelli classici come riporta il sito specializzato PurseBop. Ma una definizione così chiara, come lasciata trapelare da Hermès, si era letta finora raramente.

Anche Gucci, con il direttore creativo Alessandro Michele, è passata da una riflessione sui tempi e modi di produzione e distribuzione per poi innovare con format inediti per la presentazione delle collezioni e iniziative ritenute visionarie. La società fiorentina, che rappresenta il 60% delle vendite e il 70% degli utili di Kering, ha chiuso l'esercizio con un giro d'affari di 9,73 miliardi (+31% sul 2020 e +10% sul 2019). Boom anche per Lvmh che ha registrato nel 2021 64 miliardi di ricavi (+44% sul 2020 e +20% sul 2019), grazie ai 30,8 miliardi di fatturato (dai 21 miliardi del 2020 e dai 22 miliardi del 2019) dei brand del fashion tra cui Louis Vuitton, Christian Dior e Fendi.

Per quanto riguarda le icone tricolori Tod's si è avvicinata ai livelli pre-Covid con 883,8 milioni di ricavi (+38,7% nel 2020 e -2,6% sul 2019), grazie anche a Roger Vivier. «Le prime indicazioni sulle nuove collezioni primavera/estate 2022 sono molto positive e ci fanno guardare con ottimismo al 2022» ha dichiarato il numero uno del gruppo Diego Della Valle. L'accelerazione del secondo semestre e «la capacità di interpretare in modo efficace i cambiamenti nei comportamenti dei consumatori» hanno permesso a Prada di chiudere il 2021 con un giro d'affari di 3,36 miliardi (+41% sul 2020 e +8% sul 2019) e di porsi, stando alle parole dell'ad Patrizio Bertelli, «ulteriori obiettivi di crescita». In controtendenza Salvatore Ferragamo con un fatturato 2021 di 1,13 miliardi (+26,6% su 2020 ma -17% sul 2019), frenato dallo stop dei viaggi.

Moncler darà i dati preliminari il 24 febbraio ma, nel frattempo, l'apertura di Kering all'M&A, ha fatto tornare lo stesso la società di Remo Ruffini (al 19,9% dell'azionariato) all'era pre-pandemica quando, a fine 2019, si sussurrava un avvicinamento tra il colosso d'Oltralpe e la società dei piumini.

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