Mediobanca cambia le regole ma Delfin vince solo a metà

Ok alle richieste di Del Vecchio per gli amministratori mentre sulle liste Piazzetta Cuccia trova una terza via

Mediobanca cambia le regole ma Delfin vince solo a metà

I venti di guerra su Generali tornano a soffiare fino a Mediobanca (che ha il 12,9% del Leone e il 17,22% dei diritti di voto). Ieri il cda di Piazzetta Cuccia ha provato ad arginare Delfin, la holding di Leonardo Del Vecchio primo socio della stessa merchant bank con il 18,9% e l'assenso Bce a salire al 20%, e le sue proposte di revisione dello statuto che potrebbero sovvertire lo status quo. E ci riesce, per ora. Ma la partita, in vista dell'assemblea del 28 ottobre, è aperta. Nel frattempo, tra polemiche e intrecci proprietari sta aumentando la Vigilanza sulla saga che potrebbe non chiudersi con lo scontro per il rinnovo del vertice Generali. A Trieste è infatti iniziato la battaglia tra la linea di continuità dettata da Mediobanca e la richiesta di rinnovo dal patto di sindacato (salito al 13,5%) composto da Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone (accreditato anche al 4,95% di Piazzetta Cuccia) e Crt.

Ieri il cda di Mediobanca, risentita della mancanza «dell'engagement preventivo», ha sì approvato le integrazioni all'ordine del giorno assembleare chieste da Del Vecchio in quanto «legittime», ma ha rispedito al mittente l'articolata richiesta di un maggior peso delle minoranze in cda. Secondo il board guidato da Alberto Nagel una simile previsione sarebbe stata sbilanciata e potrebbe penalizzare la lista degli istituzionali (ovvero di Assogestioni votata un anno fa proprio dal fondatore di Essilorluxottica), «rendendo probabile, viceversa, che essa sia espressione di azionisti con quote di partecipazione significative ma non rappresentative dell'azionariato diffuso».

Insomma, altolà a Del Vecchio e avanti istituzionali (tra cui Blackrock al 3,98%). Per questo la controproposta di Mediobanca si fonda su una soglia minima limitata al 2%, sulla riserva di (almeno) un amministratore ai fondi e sull'attribuzione del 20% dei componenti del board ai soci di minoranza. Il capitale della merchant bank vede da un lato schierati il patto di consultazione light (al 10% circa) dove siedono, da decenni alcuni dei maggiori gruppi italiani e in cui, pochi giorni fa, è entrata Monge e dall'altro Del Vecchio e Caltagirone. Alla finestra rimangono i Benetton (2%), di recente usciti dal patto di Mediobanca e che sarebbero corteggiati, dai pattisti Generali (di cui hanno il 3,97%).

Semaforo verde dal board Piazzetta Cuccia per l'altra proposta di Del Vecchio, quella di interrompere il cordone ombelicale tra il cda e i manager del gruppo che imponeva la presenza nel board di 2-3 amministratori che fossero dirigenti da almeno tre anni. Secondo l'imprenditore tale imposizione rendeva «di fatto impossibile per gli azionisti presentare una lista concorrente ogni qual volta il consiglio decida di presentarne una».

In serata è arrivata la nota di Del Vecchio che si dice ufficialmente «soddisfatto» della decisione di Mediobanca che «accoglie le richieste a favore del mercato e per migliori standard di governance».

Pur ritenendo «preferibile» la propria proposta sulle minoranze, Del Vecchio ha ribadito di voler evitare una «possibile confusione che potrebbe essere creata dalla presenza di due proposte parzialmente divergenti», e di aderire quindi a quella del cda ritirando la propria.

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