«Era dal 1990 che un'azienda farmaceutica italiana non otteneva l'approvazione di un farmaco oncologico negli Usa. Dopo 33 anni ci siamo riusciti noi di Menarini». Elcin Barker Ergun, la manager turca che dal 2019 è la ceo del gruppo fiorentino, lo spiega in inglese («quando sono arrivato mi hanno detto che la priorità non era imparare l'italiano»), alla stampa nell'appuntamento annuale sui numeri e i programmi del gruppo. Tornato a svolgersi, a Firenze, dopo 4 anni di assenza causa pandemia. Ed è proprio in pieno lockdown da Covid, nel 2020, che il gruppo ha portato a termine l'operazione chiave: l'acquisto negli Usa di Stemline Therapeutics, azienda biofarmaceutica quotata al Nasdaq, per 677 milioni di dollari. Con la quale a gennaio la Fda ha approvato con tre settimane d'anticipo sui tempi ordinari, (grazie al «fast track», adottato raramente) la commercializzazione dell'Orserdu (elacestrant), farmaco orale per la monoterapia del tumore al seno, avanzato o metastatico. E con l'Orserdu Menarini si prepara a crescere ancora: Lucia Aleotti, consigliere e azionista, ha sottolineato come «ascoltiamo con soddisfazione qualche analista che parla di questo farmaco come un potenziale blockbuster, in grado cioè di superare un miliardo di dollari di vendite annue».
Intanto il 2022 dell'azienda interamente controllata dalla famiglia Aleotti si è chiuso con i ricavi oltre la soglia dei 4 miliardi (4.154) contro i 3.922 del 2021, per un margine operativo lordo (ebitda) di 400 milioni, che è pressapoco pari a quanto il gruppo investe ogni anno in ricerca. Anche grazie alla scelta, adottata da tempo, di non distribuire dividendi ai soci, ma di reinvestirli nella società. Così Menarini è arrivata a essere la multinazionale italiana del farmaco al 17esimo posto in Europa e 32esimo nel mondo, che punta all'eccellenza nelle terapie cardiovascolari, oncologiche e respiratorie. Il modello e la governance di Menarini hanno permesso di arrivare in 140 Paesi e ancora promettono di crescere (in Brasile, Giappone, Medio Oriente), grazie a una liquidità i oltre 1,1 miliardi di euro.
E in questo senso l'operazione americana è
anche una piattaforma strategica. «Siamo cresciuti fin da piccoli - ricorda Lucia Aleotti - con il mito americano: nostro padre ci diceva che un'azienda farmaceutica non è tale solo se diventa forte negli Usa. Ora lo siamo».
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