Il sole torna a battere anche su Mps. L'istituto di Siena, dopo una lunghissima crisi, è ormai una banca risanata. Lo certificano i conti dei primi nove mesi dell'anno, che promuovono la gestione dell'amministratore delegato, Luigi Lovaglio, riuscito a ottenere un utile sopra le stime degli analisti a quota 929 milioni di euro (310 milioni nel solo terzo trimestre). Sono numeri che rendono Mps una banca nuova e ormai pronta a diventare parte di un possibile terzo polo bancario. Quest'ultimo è un progetto che rimane al centro dei desideri del governo, che ha l'impegno con l'Europa di uscire dal capitale della banca toscana entro la fine del 2024. Fermo restando che, a fronte di un buon piano di privatizzazione, non dovrebbe essere un problema portare la scadenza più in là nel tempo. Al momento, il processo di uscita da Mps dall'alveo del Tesoro sta andando su due binari paralleli, non necessariamente collegati: da una parte, infatti, il ministero dell'Economia, guidato da Giancarlo Giorgetti, è al lavoro per collocare una prima fetta del capitale sul mercato. L'idea è di arrivare a cedere la quota una volta raggiunto un prezzo vantaggioso, che peraltro potrebbe presto arrivare visto che anche ieri il titolo ha guadagnato il 3,3% a 2,67 euro per azione (+47% rispetto a un anno fa). Ma se questa operazione è imbastita e sta andando avanti, da fonti vicine al ministero dell'Economia si apprende che nell'esecutivo prende piede la volontà di costruire un terzo polo che guardi alle nozze con Bper Banca e Banco Bpm. Un'ipotesi di lavoro non nuova, ma che ora ha delle basi diverse visto che Mps fa profitti ed è sempre più appetibile. «Oggi siamo tra le migliori banche del panorma italiano», ha detto ieri Lovaglio alzando la stima per l'anno a 1,1 miliardi di profitti. E, piano piano, si sgonfia anche la matassa legale: dopo le ultime sentenze favorevoli, infatti, i contenziosi e le richieste stragiudiziali del periodo 2008-2015 sono passate da 4,1 a 2,9 miliardi a fine settembre. «Aspettiamo il 27 novembre la sentenza d'appello del processo Viola-Profumo che potrà tradursi in un vantaggio economico per la banca», ha aggiunto l'ad.
Tornando però all'ipotesi terzo polo, qualora non si riuscisse a concretizzarla il Mef non avrebbe preclusioni di sorta a riallacciare i rapporti anche con Unicredit, che aveva già trattato l'istituto ai tempi di Draghi senza riuscire a trovare la quadra. La sensazione, in ogni caso, è che si stiano creando i presupposti per una operazione di sistema più rilevante. Il Mef sa che sarà difficile recuperare dalla privatizzazione gli 8,6 miliardi messi sul piatto dai governi negli ultimi lustri, ma è possibile realizzare una plusvalenza dall'entrata in carica di Giorgetti al Mef che ha investito 1,6 miliardi con l'aumento di capitale e ora, cedendo la sua partecipazione al 64,2%, potrebbe arrivare anche a portare a casa fino a 3,5 miliardi dalla cessione. Sarebbe il premio per un'operazione che ha avuto come esecutore perfetto Lovaglio, confermato dal governo al timone di Rocca Salimbeni, di certo favorito dal vento teso dei tassi imposto dalla Bce (che ha gonfiato il margine di interesse del 62 a 1,6 miliardi).
In un solo anno l'aumento di capitale da 2,5 miliardi è riuscito a finanziare un ambizioso piano di oltre 4mila uscite volontarie che ha portato a un robusto taglio dei costi. Tant'è che le spese per il personale al 30 settembre sono scese del 19%.
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