Errori, non reati. Sembra questa la sintesi delle sentenze che finora in vari filoni hanno coinvolto i vertici di Mps, l'istituto bancario senese fino agli anni Novanta tra i primi tre o quattro italiani, travolto da più burrasche giudiziarie nell'arco di quindici anni e nel frattempo passato da gestione privata a controllo pubblico. Ieri Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, già presidente e amministratore delegato di Rocca Salimbeni, sono stati assolti in Appello dall'accusa di avere voluto mascherare le perdite della disastrosa acquisizione di Banca Antonveneta, peraltro avvenuta prima del loro arrivo a Siena.
Lo avrebbero fatto contabilizzando in maniera erronea due prodotti finanziari «derivati», Alexandria e Santorini, una maledizione per la banca, messi a bilancio come operazioni di pronto contro termine sui titoli di Stato (a saldi aperti), per i bilanci dal 2012 fino al semestrale 2015. Viola e Profumo finiscono dunque assolti (motivazioni entro 90 giorni), come sono stati già stati assolti definitivamente anche gli ex vertici, Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, responsabili dell'operazione Antoveneta.
La Corte d'Appello ieri ha ribaltato completamente la sentenza di primo grado, con sei anni inflitti a entrambi per false comunicazioni sociali e aggiotaggio e 2 milioni e mezzo di multa. «Una sentenza che vale mezzo miliardo», ha commentato a denti stretti una delle parti del processo dopo la lettura del dispositivo che però ha lasciato deluse 2.000 parti civili. Il riferimento è alla cifra stimata per gli accantonamenti legali della banca che ora potranno essere rilasciati, secondo una recente stima degli analisti di Mediobanca.
La sentenza con la formula «perché il fatto non sussiste» (è stato assolto in appello pure Paolo Salvadori, ex presidente del collegio sindacale dell'istituto) ha anche spinto immediatamente il titolo in Borsa (+2,9%) a quota 3,36 euro. Il sostituto pg Massimo Gaballo aveva definito «grottesca» l'assoluzione del precedente management e aveva anche accusato i colleghi della procura ordinaria di avere coperto la responsabilità di Profumo e Viola: l'inchiesta su questo capitolo davanti alla competente procura di Brescia ha visto l'archiviazione per i pubblici ministeri.
Dopo la lettura della sentenza Profumo e Viola si sono abbracciati. «Sono emozionato. Dopo otto anni di sofferenza ho sempre avuto fiducia nella giustizia. Sono anche molto contento per la banca perché si chiude questa triste vicenda», ha detto Profumo visibilmente scosso. Viola ha parlato di «sentenza che fa giustizia e chiude una triste e penosa vicenda durata dieci anni. Resta la profonda amarezza di essere stato condannato in primo grado per reati che la sentenza d'appello ha dichiarato essere inesistenti». La procura di Milano aveva inizialmente chiesto l'archiviazione per Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, ritenendo che la errata contabilizzazione dei derivati non fosse mossa dall'intenzione di mascherare le perdite. Richiesta a cui era seguita l'imputazione coatta del gip. Alla richiesta di assoluzione avanzata nel processo dalla stessa procura, i giudici avevano risposto con la condanna a 6 anni, poi ribaltata ieri dalla Corte d'Appello.
È tuttora in corso un terzo filone, con udienza preliminare davanti alla gup Fiammetta Modica, sui crediti deteriorati dopo l'ispezione della Bce. Anche in questo caso, di fronte alla procura ordinaria che aveva chiesto l'archiviazione, arrivò l'ordine di disporre nuove indagini del gip Salvini. E si è ancora in attesa di giudizio.
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