Il Superbonus 110% quest'anno potrà essere classificato come credito d'imposta «non pagabile», ossia i cui effetti per cassa si esplicano nell'anno di godimento dello sconto in dichiarazione dei redditi. È quanto ha reso noto ieri l'Istat riportando il parere di Eurostat sulla computazione nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche. In pratica, l'istituto di statistica europeo ha recepito le innovazioni introdotte con l'ultimo dl Superbonus dal ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti (in foto), che ha di fatto imposto la detrazione pluriennale del credito d'imposta escludendo (tranne alcuni casi particolari) qualsiasi possibilità di cessione del credito.
In particolare, di rilevanza non meno trascurabile è risultato il divieto imposto alle banche di utilizzare i crediti acquistati in compensazione dei propri debiti contributivi.
Negli anni 2020-2023, invece, l'agevolazione è stata considerata come credito «pagabile», e quindi registrato nei conti delle amministrazioni pubbliche come spesa nel momento in cui il beneficio è maturato (ossia, nel momento in cui viene sostenuta la spesa) e per il suo intero ammontare. Immediati gli effetti negativi sul deficit/Pil (8% nel 2021, 8,6% nel 2022 e 7,2% l'anno scorso) per una spesa che la Banca d'Italia ha quantificato in 175 miliardi di euro.
Ma, soprattutto, questa lettura consente all'Italia di instradarsi sul sentiero non semplice di correzione dei conti pubblici.
Quest'anno il rapporto tra disavanzo e Pil, secondo, l'ultimo Def, dovrebbe attestarsi al 4,3% per poi ridursi al 3,7% l'anno prossimo. Insomma, la «cura dimagrante» che sarà imposta con la procedura d'infrazione dovrebbe essere meno invasiva.
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