Si salvi chi può. Il dramma per chi, ultra 60enne, non avrà più la possibilità di andare in pensione a partitre dal 2022, è palpabile. Con la fine annunciata di Quota 100 (a partire proprio da quell'anno), infatti, si innesca un meccanismo che può essere assimilato a un fuggi-fuggi generale. Ciò significa che si potrebbe generare un’uscita di massa verso il mondo delle pensioni già l’anno prossimo. Sotto i riflettori ci sono coloro che conquisteranno le soglie richieste (38 anni di contributi e 62 di età) nel 2021 o negli ultimi mesi di questo dannato 2020. Sono i nati tra il 1955 e il 1959: una generazione dimenticata dal governo.
Secondo le stime, si potrebbe arrivare a circa 300mila uscite anticipate. Con una concentrazione notevole nei settori più a rischio licenziamento come turismo, commercio e servizi. Per non parlare di settori più gravosi come scuola, sanità e forze dell’ordine. La conferma definitiva del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sulla chiusura di Quota 100 alla scadenza prevista dei tre anni di sperimentazione, getta nello scompiglio migliaia di italiani. E determina una corsa all’uscita anticipata.
Il rischio maggiore per questi poveri lavoratori, stremati e pronti al ritiro, è uno scalone di 5 anni (rimane in vigore l’età dei 67 anni per la vecchiaia come stabilito dalla Legge Fornero). Sindacati e governo stanno cercando soluzioni per evitarlo, ma qualunque modalità si troverà, sarà meno vantaggiosa di quella attuale. Vediamo le diverse opzioni in campo. Si va, secondo quanto riferisce La Nazione, da quota 102 (38 anni di contributi e 64 di età) a formule che contemplano penalizzazioni (dai 63 anni ma con 1-2% in meno per ogni anno mancante rispetto ai 67), dalla previsione di uscite differenziate in relazione al lavoro svolto (attività gravose come stabilite per l’Ape social), come suggerito dallo stesso Conte, fino ad altre varianti più complesse.
Si tratta, tuttavia, di soluzioni più svantaggiose e più costose del sistema attuale. Il punto, secondo quanto dicono i sindacati, è il seguente: all’allarme derivante dalla fine del meccanismo di Quota 100, si sommano altri fattori eccezionali derivanti dall’emergenza economica dovuta al Covid. I lavoratori sessantenni del privato che oggi si ritrovano in cassa integrazione, con la prospettiva di un altro anno di cassa o con quella del licenziamento, non vedono l’ora di potersi ritirare dal mondo del lavoro.
È una platea consistente. Sono nati negli anni Cinquanta e hanno cominciato a lavorare tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Il discorso è differente per il pubblico impiego. L’età media dei dipendenti pubblici è ugualmente elevata (si pensi che gli ultra-cinquantenni sono oltre la metà del totale).
Ma in questo caso non c’è il rischio cassa integrazione o licenziamento. Si tratta, però, di un quadro inquietante. La pensione è un diritto. E sarebbe ridicolo negoziarla in cambio di un briciolo di considerazione dalle parti di Bruxelles.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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