"Più azionisti minori nel cda". La conversione di Assogestioni

L'associazione dei gestori guidata da Trabattoni cambia idea sulla lista del cda. Ma non sul voto sui singoli candidati

"Più azionisti minori nel cda". La conversione di Assogestioni

Distratti dalle elezioni americane e dal nuovo governo europeo, avevamo temporaneamente accantonato i ragionamenti sulla riforma del Tuf, il Testo unico della finanza. Chi non ha smobilitato sono il Comitato di coordinamento presso il Mef, che deve presentare una proposta organica entro fine anno, e Assogestioni, l'associazione del risparmio gestito presieduta da Carlo Trabattoni, ceo della business unit Asset & Wealth Management delle Generali, che nel frattempo ha messo a punto un position paper (10 pagine in tutto) che a una prima frettolosa lettura sembra contestare i principi ispiratori della lista del cda. Ciò non sorprende, fin da subito la potente lobby dei gestori aveva assunto sull'argomento una posizione netta. Tuttavia, a una meno superficiale lettura del paper viene da chiedersi se i vertici dell'associazione non abbiano cambiato idea.

In particolare il presidente Trabattoni: lo davamo allineato a Philippe Donnet (ceo delle Generali e suo diretto referente) e al fronte che a più riprese aveva detto peste e corna della Legge Capitali denunciando il rischio di un allontanamento degli investitori stranieri disorientati dalle novità sulla lista del cda; ma alla luce di certe affermazioni dobbiamo ricrederci. Anzitutto nel paper si sottolinea in modo esplicito «il ruolo fondamentale per l'attrattività degli investimenti nel nostro mercato» della tutela delle minoranze, idea fortemente avversata in alcuni commenti a caldo di operatori e studiosi vicini alle Generali (ancora a febbraio il quotidiano finanziario Mf titolava «Lista cda, nodo public company» su un evento organizzato dall'Assosim di Marco Ventoruzzo, allievo di Pier Gaetano Marchetti, con un sottotitolo che così recitava: «L'eccessiva rappresentanza dei piccoli soci è un rischio: un fondo con l'1% può controllare fino al 20% del board»).

Invece oggi scopriamo che per Assogestioni «il voto di lista e la riserva di una parte del board a favore degli azionisti di minoranza si confermano uno strumento valido per il bilanciamento di interessi contrapposti a prescindere dalla tipologia di azionariato che caratterizza la società». E addirittura si propone che «la riserva del 20% dei posti per le minoranze prevista qualora queste ricevano meno del 20% dei voti», di per sè «allineata alla best practice internazionale e nazionale», sia incrementata «seguendo una parametrazione proporzionale alla capitalizzazione di mercato». Alla base del ragionamento di Assogestioni c'è un giudizio estremamente favorevole del cosiddetto Voto di lista che «si è dimostrato uno degli strumenti più efficaci per dare una risposta alla domanda, oggi cruciale nel dibattito internazionale, relativa alla responsabilizzazione degli investitori istituzionali». «Duole rilevare osserva l'associazione guidata da Trabattoni come le posizioni sfavorevoli al voto di lista si fondino sul presupposto errato che tale voto per la nomina del cda non sia più giustificato nel contesto italiano, che attualmente sarebbe asseritamente caratterizzato dalla sensibile crescita del numero di società a proprietà diffusa in cui è venuta meno la distinzione tra soci di maggioranza e minoranza che giustificava la previsione del meccanismo del voto di lista». Probabilmente Assogestioni allude qui alla posizione a favore di una revisione del voto di lista espressa dal notaio Marchetti nel giugno 2022 in occasione del seminario istituzionale sul tema della Lista del cda tenuto presso la Commissione Finanze del Senato.

Infine, in merito alla disciplina della lista del cda introdotta dalla Legge Capitali, l'associazione di Trabattoni rileva come essa «per alcuni aspetti sembra individuare delle soluzioni valide ai fini dell'ammodernamento del diritto societario» ed anzi sembra altresì auspicabile un'estensione di alcune delle innovazioni ivi proposte alla disciplina più generale del voto di lista.

E qui le nostre certezze vacillano. Fra le innovazioni da estendere, Assogestioni indica quella per cui «se la lista del cda è quella più votata, il ruolo del presidente del Comitato Controllo e Rischi deve essere ricoperto da un amministratore indipendente tratto da una lista diversa da quella del board»: previsione che secondo Assogestioni «va a sancire espressamente la rilevanza di una diversity genetica nella composizione quali-quantitativa ottimale dei comitati». Tutto condivisibile, senonchè un veloce check rivela come proprio nel caso di Generali il presidente del Comitato Controllo e Rischi, Luisa Torchia, appartenga alla lista del cda in spregio ad ogni diversity genetica evocata non dagli avversari di Donnet bensì da Assogestioni.

Dunque, se una parziale conversione c'è sul tema della lista del cda, il position paper della lobby dei gestori non fa passi avanti invece sul tema delle liste bloccate. In altre parole, rifiuta implicitamente il voto sui singoli consiglieri dopo che la lista è stata votata, contravvenendo a una prassi assai diffusa nei sistemi di governance più avanzati.

E se ne comprende il motivo: l'esame sul singolo consigliere potrebbe far emergere l'inadeguatezza del candidato che però è funzionale a una logica lobbista mirata al controllo blindato della società. L'auspicio è che il Comitato di coordinamento presso il Mef, che pare avanti nell'espletamento del suo compito, ponga rimedio a questa palese stortura.

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