Popolari, Maroni ricorre contro il governo

La Lombardia porta in tribunale la riforma di Renzi che toglie potere ai dipendenti-soci per affidarlo ai grandi investitori di Borsa

La Lombardia di Roberto Maroni, la regione governata dal centrodestra con la più elevata presenza di banche popolari attive sul proprio territorio, va in tribunale contro la riforma Renzi, che di fatto trasferirà definitivamente il pallino delle maggiori mutue del Paese dai dipendenti-soci ai grandi investitori istituzionali, sottraendole così alla residua influenza della politica e dei sindacati.

La decisione è stata presa ieri dalla Giunta del Pirellone, che preannuncia ricorso contro una legge «incostituzionale» che «invade» l'autonomia regionale: i primi undici istituti cooperativi del Paese hanno 18 mesi di tempo per diventare società per azioni, rottamando il voto capitario (quello che in assemblea assegna un voto per testa, indipendentemente dal numero di azioni possedute).

L'appiglio tecnico del ricorso è l'articolo 117 della Costituzione (terzo comma), dove si delineano i poteri delle Regioni, mescolato al fatto che le popolari sono banche sorte e cresciute in simbiosi con il loro territorio. «Sarebbe stato opportuno coinvolgere nella fase propositiva la Lombardia, che ha il maggior numero di popolari investite dalla riforma», ha detto Antonio Saggese della Lista Maroni, primo firmatario di un'analoga mozione votata dal Pirellone a inizio maggio. La stessa Lombardia sta ragionando su una sorta di società veicolo attraverso cui investire nelle «sue» popolari in chiave protettiva: Bipiemme (Milano), Ubi Banca (Bergamo), Popolare Sondrio e Credito Valtelinese.

Dopo aver abbozzato una flebile opposizione alla riforma Renzi tramite la lobby del settore (Assopopolari), i «Signori» del credito, stanno tuttavia andando nella direzione voluta da Renzi: sono alla ricerca del miglior compagno di viaggio per creare dei nuovi poli del credito di rilevanza nazionale. Qualche umore differente si respira tuttavia in Valtellina, che avrebbe avuto una certa parte nella battaglia avviata dalla Regione Lombardia.

A guardare con dispetto la riforma Renzi erano stati invece, oltre ai decani del settore, i sindacati del credito. Così come una certa «simpatia» per gli obiettivi di Maroni agita la pancia delle grandi popolari. A partire da quella di Bipiemme: la cooperativa sarebbe poi stata rivoltata come un calzino dal top management sotto l'occhio di Bankitalia e della Consob, ma ancora nel 2009 aveva visto Umberto Bossi attribuire al Carroccio la regia della nomina alla presidenza di Massimo Ponzellini, subito da più parti appellato «il banchiere della Lega». Così come resta strutturalmente elevato l'intreccio delle coop con il mondo delle associazioni e dei salotti locali.

Un banchiere che conosce a fondo la situazione è, però, convinto che quella di Maroni sia da leggere come una manovra puramente politica.

Volta a guadagnare consensi anche alla luce delle ormai prossime elezioni in Veneto. Dove il Carroccio è tra gli «sponsor» che vogliono far sorgere un grande istituto di credito attorno al Banco Popolare o perlomeno aggregando le due piccole (e molto problematiche) Veneto Banca e Popolare Vicenza.

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