Una maggiore diffusione dei veicoli elettrici è essenziale per centrare gli obiettivi della decarbonizzazione; ma resta da risolvere il tassello delle infrastrutture di ricarica. Diversi gli ostacoli da superare, in primis la scarsa remuneratività degli investimenti e lo scetticismo dei consumatori. Lo scrive il centro di analisi Ref.
In ambito europeo, alla fine del 2023 le colonnine pubbliche erano infatti 632.423 contro il 3,5 milioni che, stando alla Commissione, dovranno essere operative entro il 2030 per dare la scossa alla nuova mobilità: l'obiettivo è tagliare del 55% le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri. Acea, l'associazione dei costruttori, calcola invece che occorrano almeno 8,8 milioni di colonninne e 18,8 milioni entro il 2035.
Quanto all'Italia, secondo Motus-E, a settembre c'erano 60.339 punti di ricarica (+28%). Nella stragrande maggioranza dei si tratta di colonnine medium-speed AC, ossia con potenza compresa tra 7,4 e oltre i 22 kW; aumentano tuttavia anche quelle di tipo Fast DC (fino a 150 kW). Così come sale in termini assoluti la quota dei punti ultraveloci (potenza oltre 150 kW): delle colonnine installate nell'ultimo anno, il 49% è di tipo veloce e ultraveloce.
La remunerazione dell'investimento resta tuttavia scarsa: «Allo stato attuale, - scrive il Ref - escludendo un tasso di crescita annuo del fattore di utilizzo, il ritorno migliore ottenuto dall'analisi restituisce un Irr pari a 0 (tasso interno di rendimento) qualora si investisse in un'infrastruttura Quick: il progetto genera quindi un flusso di cassa complessivo uguale all'investimento iniziale; senza però alcun rendimento del capitale investito.
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