È quanto occorre per comperare il 25% del settore. La carta Serra

È quanto occorre per comperare il 25% del settore. La carta Serra

Domani pomeriggio la lobby delle banche popolari si gioca il tutto per tutto: i Signori delle mutue torneranno a riunirsi, sotto il vessillo di Assopopolari, nella sede milanese della Bper di Ettore Caselli. Imperativo categorico: plasmare una (convincente) autoriforma del settore e posizionarla sullo scacchiere del Parlamento, così da fermare il decreto legge varato dal governo Renzi per trasformare i primi dieci gruppi cooperativi italiani in società per azioni. Che il tempo stringe lo conferma la scommessa sulle popolari fatta del finanziere «leopoldino» Davide Serra: l'amico dell'ex sindaco di Firenze, stando a quanto è stato possibile riscostruire, ha in tasca una quota sostanziosa del Banco Popolare di Pier Francesco Saviotti, mentre avrebbe alleggerito quella nei cugini di Ubi. Difficile dire di più, anche se il fondo Algebris laddove supererà il 2% dovrà rendersi visibile ai radar della Consob.

Facciamo un calcolo: oggi le grandi popolari italiane quotate, in pratica quelle costrette ad abbandonare il voto capitario da Renzi, in Borsa valgono tutte insieme 18,3 miliardi, di cui 9,5 (più della metà) sono la somma delle capitalizzazioni delle due big: Banco Popolare (4 miliardi), Ubi Banca (5,5). In sostanza, per «comperare» il sistema delle cooperative oggi bastano 4-5 miliardi, quelli sufficienti a rastrellare il 20-25% di ogni gruppo e fermarsi sotto la soglia oltre cui scatterebbe l'Opa. È la metà di quanto i francesi di Bnp Paribas hanno pagato nel 2006, quindi in un'altra era finanziaria, la sola Bnl (9 miliardi). L'unico reale ostacolo è ottenere da Bankitalia il via libera a superare il 10 per cento. Ma per prendere una posizione del 5% su tutto il comparto, non serve scomodare Palazzo Koch, e si può limitare l'esborso a un miliardo, che è poco meno di quanto valuta la Borsa il Credito Valtellinese (1,1 miliardi) o arrivare al 9% con un esborso di 1,6 miliardi.

Lo «scenario» delineato dal decreto del governo sulle popolari «apre a potenziali situazioni che fino a pochi mesi fa erano impensabili», ha detto Giuseppe Castagna, capo azienda di Bipiemme, dove è da tempo aperto un cantiere per provare a cambiare la governance superando le resistenze dei dipendenti-soci. Piazza Affari, malgrado la spada di Damocle dei crediti deteriorati, continua a fiutare l'affare del riassetto: Bper ha guadagnato l'1% e il Banco Popolare l'1,78%, mentre Bpm ha ceduto l'1,7 per cento.

I «saggi» (Angelo Tantazzi, Piergaetano Marchetti, Alberto Quadrio Curzio) e gli avvocati sono ancora al lavoro sui dettagli, ma quella di Assopopolari sarà una strategia di lotta e di governo. Da un lato c'è la minaccia di un'azione legale contro l'incostituzionalità del decreto (perché non ne sussisterebbe il motivo dell'«urgenza»), dall'altro la riforma da proporre a Renzi tramite gli agganci bipartisan che le cooperative hanno nell'arco parlamentare.

L'obiettivo è quello di arrivare a un «impianto ibrido» e una governance che valorizzi i piccoli soci nel comitato di sorveglianza, con ogni probabilità bloccando al 5% il diritto di voto. Si sta poi studiando la possibilità del voto plurimo, mentre perde terreno l'idea di ispirarsi all'assetto dei francesi del Crédit Agricole.

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